Via Giulia, gioiello della Roma papale
Giuliano Della Rovere, nipote di Sisto IV e a sua volta Papa con il nome di Giulio II, tutto preso da quella sua idea di “Renovatio urbis Romae”, fece progettare al Bramante “Via Giulia” a Roma, questa nuova strada che avrebbe portato il suo nome, via Julia, volendone fare l’asse portante della Roma degli affari.
L’ideale di Papa Giulio II
Era suo obbiettivo proiettare il potere pontificio nella città dei commerci e della finanza già esistente de facto e, al tempo stesso, ostentare un’immagine di potenza che consentisse alla Chiesa di interloquire alla pari con le altre nazioni nella visione di una generale politica più temporale del Vaticano. Uomo di raffinata erudizione, Giulio II coltivava anche l’utopistica ambizione di fare della strada a lui intitolata l’occasione per raccogliere a beneficio dell’Urbe l’eredità di Firenze come centro della cultura e dell’arte del Rinascimento e riportare Roma allo splendore imperiale.
La zona era destinata a concentrare gli edifici pubblici più importanti, la Camera Apostolica (oggi Palazzo della Cancelleria), la Zecca, il palazzo della Cancelleria Vecchia (oggi Cesarini Sforza) e infine il Palazzo dei Tribunali che, se fosse stato compiuto, avrebbe riunito tutte le corti giudiziarie sparse per la città e i notai. Il piano urbanistico avrebbe facilitato le comunicazioni, coinvolgeva anche l’altra sponda del Tevere con un’altra via recta, via della Lungara, il porto di Ripa Grande e il ponte Sisto.
Via di artisti, banchieri, aristocratici e… gente di malaffare
A quei tempi Via Giulia era dominata dai toscani della “Venerabile Arciconfraternita della Pietà dei nazionali fiorentini”, formatasi durante la peste del 1448 con il compito di soccorrere i connazionali già colpiti. Ed è lì che sorgerà la Chiesa di San Giovanni de’ Fiorentini, autorizzata da una bolla papale del 29 gennaio 1529 ad essere parrocchia di tutti i toscani residenti.
Il che li induceva a considerare loro strada Via Giulia, tanto da costruirci anche l’omonimo ospedale, edificato ad opera dei garzoni dei fornai fiorentini. C’erano anche i napoletani, la cui confraternita acquistò nel 1574 alcune aree della via, compresa la chiesa già di Sant’Aurea che diventerà Santo Spirito dei Napolitani.
C’erano poi i francesi, ma soprattutto gli spagnoli della Confraternita della Madonna di Monserrato, formata da aragonesi, catalani e valenziani, che hanno lasciato la testimonianza del loro collegio, fra via della Barchetta e la Chiesa di Santa Caterina da Siena. Il grande pittore Raffaello, introdotto alla corte del Pontefice dal Bramante, ne condivideva l’ambiziosa aspirazione e Giulio II ne era così affascinato da affidargli la decorazione dei suoi nuovi appartamenti, le famose “Stanze Vaticane”.
Si favoleggia da oltre mezzo millennio di una casa di Raffaello in via Giulia, il palazzetto centrale dei tre che sorgono fra via dei Cimatori e Vicolo delle Palle. In realtà il Sanzio fece in tempo solo ad avere l’intenzione di erigere la sua dimora nel terreno ottenuto in enfiteusi da Leonardo Bartolini, Commissario delle fabbriche di Leone X, data la luttuosa circostanza della sua scomparsa il 6 aprile 1520, prima di riuscire a realizzare il suo sogno che, divenuto realtà nella fantasia dei suoi posteri, indica ora il palazzetto come “la casa di Raffaello”. Qualcosa di vero però c’è. Clemente VII, infatti, a cui fu in seguito venduto il terreno, incaricò l’architetto Sangallo di costruire con qualche modifica il palazzetto secondo il progetto di Raffaello.
L’idea del Sanzio di fare della strada una sede di artisti che avrebbero operato in una zona pullulante di artigiani altamente specializzati e di personaggi facoltosi che potevano diventare committenti di opere importanti, sarà ripresa da Antonio da Sangallo. Alla metà del Cinquecento l’aristocrazia si era sistemata nei palazzetti di via Monserrato e gli artisti e la borghesia emergente occupavano la parte fiorentina di via Giulia.
Dopo san Biagio della Pagnotta, andando verso sud, la situazione cambiava radicalmente. La parte centrale dominata dal “monte” della famiglia Planca Incoronati si trovava in una situazione di estremo degrado con edilizia povera, osterie, case di tolleranza e luoghi di malaffare. Poi, davanti alla chiesetta di Sant’Aurea, iniziava il “Castrum senense” abitato fin dal Medioevo da una colonia di senesi, dediti prevalentemente a lavorare il ferro.
La parte nord della strada si andava invece organizzando secondo un programma architettonico-urbanistico ben definito, promosso dalla potente famiglia Farnese. Essa, infatti, eresse il suo grande palazzo in modo da comunicare col mercato di Campo dei Fiori mediante un via recta e da lì avrebbe dovuto essere in grado di vedere in un sol colpo d’occhio la strada Julia, il Tevere, il ponte che lo superava, e giungere fino alla villa suburbana della Farnesina secondo un ambizioso progetto elaborato Michelangelo e mai compiuto.
Quando dal mascherone sgorgava buon vino
Sembra strana la quiete che accoglie oggi il passante e il turista che percorre Via Giulia, se si pensa a quanto la strada sia stata vivace e palpitante di vita nei secoli passati, soprattutto nel Sei e Settecento, quando si animava di feste e spettacoli teatrali cui presenziava non solo l’aristocrazia, ma anche il popolo.
Si ha memoria, infatti, di bandi del governatore di Roma per giostre che si tenevano presso famiglie patrizie (come quella famosa dei Ceuli) o giostre al saracino, come quella organizzata per festeggiare il matrimonio tra Domenico Sforza Marescotti e Vittoria Ruspoli. In tali occasioni i palazzi venivano ornati con drappi e l’arco Farnese festosamente addobbato. Un documento del 1663 racconta di “un palio di gobbi ignudi”. La novità attirò nobili in carrozza e molto popolo, mentre le finestre straripavano di gente incuriosita. Un’altra grande festa si ebbe in occasione della nascita del Delfino di Francia (il futuro Re Luigi XIV). Furono organizzati palii di berberi e cavalli e un palio di barche si tenne lungo il fiume.
Gran divertimento era nel ‘600 allagare la parte alta della strada, chiudendo lo scarico del fontanone che allora faceva da sfondo alla strada dalla parte di Ponte Sisto e vedere le carrozze correre con le ruote nell’acqua. Ma la festa più bella fu probabilmente quella organizzata dai senesi nel 1720 nel giorno della Pentecoste per l’elezione di un loro concittadino, Marco Antonio Zondodari, alla carica di Gran Maestro dell’Ordine di Malta.
In quell’occasione furono eretti due grandi archi trionfali verso la Chiesa di Santo Spirito dei Napoletani e verso Palazzo Farnese e fra essi il tratto di strada fu addobbato riccamente di lampadari e ornato con ritratti di illustri senesi. Tutte le finestre erano illuminate e vicino a Ponte Sisto «si sparò una gran macchina di fuoco artifiziale che rappresentava la religione di Malta trionfante con le figure dei suoi nemici depresse ai suoi piedi». Si ricorda in una lettera scritta al senese Francesco Piccolomini che tutta la nobiltà romana partecipò facendo sfoggio di ricche vesti e sontuose carrozze, mentre i proprietari dei palazzi avevano fatto a gara per ornarli a festa, come in Roma non si vedeva da tempo. In tale occasione la fontana del Mascherone versò vino fino alle quattro di notte.
Questa fontana, formata da un grosso Mascherone poggiato su un’edicola sovrastata del giglio dei Farnese, getta acqua in una conchiglia sottostante. Il vascone che la raccoglie proviene probabilmente da un antico edificio termale romano. In origine isolata al centro di una piazzetta dalla quale si raggiungeva il traghetto che attraversava il Tevere, è ora appoggiata a un muro di mattoni eretto nel 1903. Si ricorda che abbia distribuito vino anche in occasione di alcune feste dei Farnese.
Per il mezzo millennio dalla sua fondazione, il prossimo anno, via Giulia rivivrà forse se non il fasto dei tempi passati, almeno un’aria di gran festa. Gli Amici di via Giulia hanno vinto nel loro intento di farla apprezzare come merita. Si inizierà a gennaio con un banchetto rinascimentale e si andrà avanti per un intero anno alla cadenza di un festeggiamento al mese. Sarà una felice occasione per godere delle tante meraviglie che nasconde.
“Pinacoteca del mondo”
Questa strada sembra avvolta di mistero e la sua storia è affollata di segreti. Se per magico sortilegio lo sterminato patrimonio d’arte e di cultura e le vicende private che i palazzi nascondono al loro interno, diventassero improvvisamente visibili all’esterno, essa si trasformerebbe nella più grande esposizione di tesori al mondo.
Gli stucchi, gli affreschi, le statue, i soffitti, le porcellane, i mobili, i dipinti, i lampadari, le porte che impreziosiscono per esempio la grande Galleria di Palazzo Sacchetti, con le pitture del Rocca che replicano i temi della Cappella Sistina, lascerebbero senza fiato qualunque viandante, anche il più raffinato amatore d’arte. E che dire della stupefacente facciata di Palazzo Ricci che sembra un immenso cammeo denso di lattiginose figurine allegoriche? È opera di Polidoro da Caravaggio, altri dipinti del quale si possono ammirare nella chiesa di San Silvestro al Quirinale.
Riuscire ad entrare nel mondo magico, in gran parte riservato e persino segreto che si cela dietro i palazzi di Via Giulia, significherebbe proiettarsi all’improvviso nella storia più intensa della Roma papalina e percorrere un itinerario artistico che ha pochi eguali al mondo. Forse nessuno.
Significherebbe restare in estasi davanti alle opere pittoriche e scultoree allineate lungo le pareti della Galleria di Ganimede di Palazzo Spada, o davanti alle movimentate scene dipinte nel soffitto della Sala Aurora dello stesso palazzo patrizio o davanti a quelle del Borromini nel piano nobile di Palazzo Falconieri.
Significherebbe poter ammirare via Giulia in tutta la sua linearità dal cavalcavia che unisce Palazzo Farnese ai camerini farnesiani. Un palazzo ritenuto ineguagliato, il più sfarzoso, il primo dei palazzi papali di Roma, costruito senza economia, anche utilizzando marmi prelevati dal Colosseo e dal Teatro Marcello, nonché travi di legno così eccezionalmente lunghe che fu necessario farle venire dalla Carnia.
E poi i cortili, i ninfei, le fontanelle nascoste e le chiese, tante chiese, ciascuna scrigno di pitture uniche al mondo, come “La flagellazione” nell’Oratorio del Gonfalone, “L’adorazione dei Magi” a Sant’Eligio degli Orefici, “L’Eterno in Gloria” al Santo Spirito dei Napolitani, o “Resurrezione” nella Chiesa di Santa Caterina da Siena. Con tanta abbacinante ricchezza questa strada potrebbe ambire al titolo internazionale di pinacoteca del mondo.
La Confraternita dell’Orazione e Morte
Il Belli la chiamò “la commaraccia secca de strada Giulia”. È uno scheletro alato simbolo della Morte, graffito su due lapidi ai lati del portale centrale dell’elegante Chiesa dell’Orazione e Morte, accanto a Palazzo Falconieri. A commento c’è anche l’inesorabile detto latino “Odie mihi, cras tibi”. Una precisa simbologia di morte ricorre in tutta la facciata e sul campanile. Due teschi alati coronati di alloro fanno da capitelli alla trabeazione centrale, al centro del timpano ricurvo una clessidra alata, il tempo che se ne va, monti a tre cime, croci e così via.
La Chiesa, raffinato progetto di Ferdinando Fuga, sostituì nel 1737 la precedente, considerata troppo piccola ed è legata alle vicende della Compagnia della Morte, riconosciuta Confraternita da Giulio II nel 1552 con il nome di Confraternita dell’Orazione e Morte. Scopo del sodalizio era la sepoltura dei “morti di campagna” e cioè di quelli che, non reclamati da alcuno, sarebbero diventati preda degli animali.
Lo zelo dei confratelli era senza limiti. Quando nel 1598 il Tevere straripò e travolse le salme del cimitero sottostante, le andarono a recuperare fino ad Ostia. Di quel cimitero, che alla fine dell’Ottocento ospitava circa 8000 corpi e che fu distrutto per costruire gli argini del Tevere, resta oggi una singolare cripta dai macabri decori.
A partire dal 1763 l’Arciconfraternita (tale era divenuta) organizzava per l’ottavario dei defunti sacre rappresentazioni che si tenevano nella seconda stanza del cimitero sul tema fisso delle pene del Purgatorio e che erano particolarmente note per il verismo ottenuto con luci, statue di cera e addirittura l’impiego di veri cadaveri. Da qualche tempo la bella chiesa, sormontata da una cupola berniniana, non è più agibile per il timore di crolli del soffitto.
FONTE: Radici Cristiane n. 34