San Paolo in trono

San Paolo in trono - Schola Palatina

A dimostrazione di quanto la storia dell’arte non sia mai definitiva nei suoi giudizi, specie se fondati su basi ideologiche più che scientifiche, basti il confronto tra l’osservazione diretta del quadro con la descrizione che ne fa lo storico Adolfo Venturi all’inizio del Novecento, in un periodo in cui la pittura del secondo Rinascimento era valutata in maniera del tutto negativa: «La bizzarria del maestro senese divien stravaganza nella pala di san Paolo in trono.
Preso dall’ossessione della grandiosità e dello scorcio, egli issa sopra una ristretta base a gradi il macchinoso e vuoto san Paolo, che regge con la destra floscia uno spadone d’eroe da burla e si puntella al piede massiccio, enorme; inturgida la flaccida forma di san Paolo caduto, con la mano sul petto in gesto melodrammatico, mentre attorno a lui altri attori di melodramma, camuffati da panciuti guerrieri romani, guardano e commentano; fa apparire in alto il gruppo della Vergine col Bambino e due Santi come in un’ancona infagottata dal baldacchino tra gonfi angioletti; e per accrescer lo spettacolo esaspera i contrasti di macchie d’ombra tenebrose e di luci squillanti».

Ma davvero siamo di fronte a un capriccioso melodramma privo di senso? E allora cosa aveva spinto la potentissima Corporazione dei mercanti senesi a investire proprio su questo inquieto artista, per commissionargli una pala d’altare di notevoli dimensioni, 230×150 cm, da porsi nella loro chiesa patronale in piazza del Campo, proprio di fronte al Palazzo Pubblico?

San Paolo in trono: l’esaltazione dell’Apostolo delle Genti

Di certo gli Uffiziali di Mercanzia sapevano che l’artista avrebbe esaltato, non certo ridicolizzato, la figura e l’opera del grande Apostolo delle Genti. La commissione era giunta attorno al 1515, poco dopo il ritorno del Beccafumi da un viaggio a Roma, la città della prigionia, del martirio e della sepoltura di Paolo.

A Roma egli aveva forse lavorato con Raffaello alla villa Farnesina e in Vaticano e aveva imparato da Michelangelo quel senso della monumentalità e della dignità umana che traspaiono evidenti anche in quest’opera. Che non manca certo di quell’originalità iconografica che il Venturi riscontra nelle caratteristiche di questo artista, ma che si rivela densa di significati sovrapposti, strettamente correlati con le parole e la vita dell’Apostolo.

San Paolo svetta al centro della composizione, seduto su di un alto podio che in realtà è anche il pilastro centrale di un loggiato a doppia arcata. Il rosso saturo ma vaporoso del suo manto lo fa sbalzare verso di noi, con un effetto di controluce con la struttura architettonica retrostante. Le arcate della loggia sono invece incorniciate da un vero e proprio gioco illusionistico di un quadro dentro il quadro: degli allegri angioletti aprono un drappo verde giocando in pose contrapposte, per rivelare l’icona della Madre con il bimbo Gesù. Questi però ha tutto il corpo vero e morbido di un infante nel suo primo anno di vita.

Il gioco dei colori contrastanti verde e rosso viene richiamato anche dalle figure sullo sfondo e ai lati del Santo, più sfumate e dalle tonalità generalmente più fredde, perché in secondo piano, ma disposte in diagonali convergenti verso di noi e soprattutto verso la figura centrale, in un effetto di prospettiva rovesciata.

Il martirio

È chiaro che l’artista vuole saldare tra loro i diversi contesti in cui Paolo è protagonista, quello della sua conversione, del suo apostolato e infine del suo martirio. Ma si tratta solo di un legame narrativo o c’è dell’altro? A sinistra Paolo è a terra, colpito e reso cieco dalla luce che improvvisa ha squarciato le nubi in cielo, lasciando trapelare la figura di Gesù.

L’espressione del suo viso racconta di un’esperienza estatica, che porta Saulo-Paolo in un’altra dimensione, mentre attorno si affannano i soldati, agitati e dubbiosi.

Manca il tradizionale cavallo, sul quale si presume che Saulo stesse andando verso Damasco, ma d’altra parte non è menzionato nel racconto degli Atti degli Apostoli e dimostra come il Beccafumi abbia voluto aderire più alle fonti testuali che alla tradizione iconografica.

Incorniciato dall’arcata destra è invece l’episodio del martirio del Santo. Alle porte di Roma il boia sta riponendo nella fodera la spada ancora insanguinata, mentre il corpo di Paolo è di nuovo a terra, con la testa già spiccata. Il blu della sua veste incornicia quello freddo della sua pelle e sangue, ma anche qui è determinante l’espressione del volto, che esprime la serenità di chi sa di essere già nelle braccia del Signore.

Paolo, il pilastro

Sono gli altri personaggi presenti sulla scena a suggerirci un ulteriore livello di lettura. I due bimbi sullo sfondo con il loro cagnolino sono troppo in luce per essere solo un riempitivo; i tre personaggi a destra hanno colori troppo forti, attraenti e contrastanti – viola, rosso, verde, giallo senape – per la posizione che occupano nello spazio. Il vento imperversa su questo paesaggio brullo, ma in fondo una donna continua a procedere nel suo cammino.

Come suggerito di recente da suor Maria Gloria Riva, tali figure potrebbero alludere ad alcuni passi delle lettere paoline agli Efesini e ai Corinzi, relative alle false dottrine che rischiano di far vacillare chi è debole, ma che Paolo confuta con ferma argomentazione, nella sua instancabile opera di evangelizzazione.

Ritorniamo quindi sulla figura centrale. È in trono, ma la sua non è un’immagine di potere, bensì di solidità e fermezza. Il suo viso non è minaccioso e severo, ma dolce e sereno, come quello delle altre due scene. La spada è una lama di luce che taglia diagonalmente la figura, collegando la persona ai suoi scritti, contenuti in quel libro che Paolo sta leggendo. La spada è certo allusiva al suo martirio, ma è anche riferimento alla sua lingua affilata, incurante dei pericoli incontrati durante la sua predicazione.

Il legame parola – azione è poi richiamato dall’atto che Paolo compie con il suo piede destro: ha già lasciato il gradino più alto per poggiare il tallone su quello più in basso, ove con un notevole effetto di scorcio l’artista già prelude a una nuova partenza, per un nuovo viaggio, ma questa volta verso i fedeli che si riuniscono nella chiesa a lui dedicata.

Il messaggio è chiaro: Paolo è il pilastro su cui si fonda la dottrina della Chiesa, lo dimostra la coerenza della sua vita e il coraggio della sua fede. La sua eredità non è reclusa in una storia passata, ma è ancora viva e presente, nella sua evangelizzazione e nei suoi scritti.

FONTE: Radici Cristiane n. 144

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