Sant’Andrea Corsini

Nel 1629, durante il pontificato di Urbano VIII Barberini (1623-1644), il beato Andrea Corsini, nobile fiorentino nato nel 1301, venne innalzato agli onori degli altari. Un dipinto realizzato dalla superba mano del bolognese Guido Reni (1575-1642), proprio nell’anno di canonizzazione, rende un durevole omaggio non solo alla figura del santo, ma alla famiglia Corsini, che lo commissionò. È infatti probabile che proprio Ottavio Corsini abbia richiesto l’opera al pittore per poi donarla al pontefice, come dimostra la citazione della stessa negli inventari Barberini fin dagli anni Trenta.
Oggi il dipinto proviene dalle collezioni degli Uffizi ed è esposto fino al 17 febbraio, nello storico palazzo Corsini alla Lungara a Roma, sede della Galleria Nazionale d’Arte Antica. Il progetto espositivo curato da Stefano Pierguidi è l’occasione per riportare l’opera a Roma, dopo che a seguito di alcune unioni matrimoniali era confluita nelle collezioni dei Corsini di Firenze.
Tra Classicismo e Barocco
La tela di Sant’Andrea Corsini, mirabile esempio di un maturo classicismo secentesco già venato però di istanze barocche, come si nota nella magnificenza del mantello vescovile che scende fin sotto al gradino dell’altare in primo piano, esibisce una scena dal chiaro e leggibile valore devozionale, in accordo con i più aggiornati dettami tridentini. Il racconto è semplice, anche se la composizione risulta formalmente molto articolata.
Il santo è inginocchiato, estatico, in adorazione del Crocifisso. Dietro di lui alcuni angioletti sorreggono il vincastro, mentre in cielo volti angelici vegliano sulla preghiera, immersi in una luce dorata, emblema della Grazia divina, che, squarciando le corpose nubi, invade la scena. Pur nella rappresentazione intima del raccoglimento, il dipinto offre un tripudio di colori, in una perfetta alternanza di zone d’ombra e parti luminose, con un’attenzione alla resa materica degli oggetti, delle vesti e dei corpi.
Reni era noto infatti per la capacità pittorica di descrivere le differenti superfici, dalle sete e dagli spessi ricami di vesti e paramenti, agli arredi in legno o metallo, fino alla minuziosa rappresentazione delle carni, che in taluni momenti sembrano quasi imitare i marmi pregiati delle sculture romane, così come si vede nei due splendidi angioletti sulla destra; quasi una declinazione barocca in questo sottile gioco in cui l’arte imita l’arte.
La delicatezza del momento raffigurato, con il santo in abiti vescovili colto nell’attimo del dialogo con l’Altissimo, costituisce una chiara testimonianza del compito prezioso della pittura quale eccellente veicolo di significati devozionali. Al pubblico dei fedeli viene mostrata l’importanza del ruolo di mediatori svolto dai santi, attraverso il loro esempio nel sacrificio costante quotidiano e nella forza della preghiera.
Sant’Andrea Corsini: altre opere correlate
Insieme alla tela degli Uffizi sono raccolte nella stessa sala del palazzo Corsini alcune opere ad essa correlate per cronologia e per soggetto: tra queste troviamo una copia più tarda realizzata dal pittore romano Agostino Masucci nel 1732, tuttora conservata nel palazzo alla Lungara, anello di congiunzione tra l’invenzione originale di Reni e la splendida versione musiva, opera di Pietro Paolo Cristofari, voluta da papa Clemente XII Corsini (1730-1740) per l’altare della cappella di famiglia in San Giovanni in Laterano.
Nella stessa sala altre opere di Masucci certificano l’importante ruolo svolto da questo artista per la famiglia Corsini e la sua vivace attività come ritrattista: in mostra sono presenti il Ritratto doppio del pontefice con il cardinale nipote Neri, anch’esso accompagnato da una traduzione a mosaico realizzata dal medesimo Cristofari; il ritratto di Clemente XII, di collezione privata, e infine Il cardinale Neri Corsini insieme a padre Evora e ad altri prelati, proveniente dalla Biblioteca Nazionale di Roma.
Una sorta di memento mori
Dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna arriva un altro dipinto di Reni, appena restaurato, che ritrae il santo Andrea Corsini frontale, imponente nella sua solitudine, caratterizzato da un sentimento di ascetismo più marcato e incisivo rispetto alla tela Corsini. L’opera, un tempo in arredo nella sacrestia di Santa Maria di Galliera, è un esempio dell’ultimo periodo pittorico di Reni, nel pieno degli anni Trenta del secolo, quando le figure sulle sue tele si andavano sfaldando gradatamente, le linee di contorno si alleggerivano e i colori si mescolavano tra loro con delicatezza fino a dare l’impressione di un “non finito”.
Questa tendenza alla rarefazione delle forme è in effetti tipica della fase tarda di molti artisti, come ci ricordano i capolavori della vecchiaia di Michelangelo Buonarroti, di Tiziano o Tintoretto. Forse è una sorta di memento mori che colpisce l’immaginazione di questi uomini, ricordando loro che tutte le cose del mondo sono destinate alla polvere. E dunque questa seconda raffigurazione di sant’Andrea Corsini, così come la interpreta il pennello di Guido, risulta ancora più vicina alla figura storica del santo, che dopo una giovinezza oziosa, violenta e superficiale, si era convertito all’improvviso e avvicinato alla pace del Carmelo, abbandonando tutti gli agi della sua vita precedente per dedicarsi allo studio e all’ascesi.
Quando nel 1350 gli fu affidata la diocesi di Fiesole, volle inizialmente rifiutarla, per poi tornare dall’eremo in cui si era rifugiato dopo aver avuto un segno del Signore; egli ricoprì l’incarico con rigore e fermezza di spirito per 24 anni, portando pace tra i Comuni toscani e curando i più poveri.
FONTE: Radici Cristiane n. 140