Agostino d’Ippona, maestro del senso della vita

Quando si pensa ad una filosofia cristiana ben strutturata ed organizzata si pensa, giustamente, a quella di san Tommaso d’Aquino. Ed è così. D’altronde nell’enciclica Aeterni Patris di Papa Leone XIII la Chiesa la indica come il vertice della filosofia cristiana.
Ma il pensiero di san Tommaso ha bisogno che colui al quale si rivolge abbia le capacità di farlo proprio; non nel senso che sia difficile, tutt’altro; bensì nel senso che è talmente consequenziale e ben strutturato che ha bisogno che chi lo conosca sia altrettanto capace di cogliere logicamente la verità. San Tommaso scrisse nel XIII secolo e l’uomo di quel tempo era un uomo strutturato e predisposto, nel suo ordine, a capire bene quel tipo di speculazione.
L’uomo contemporaneo, invece, è tutt’altro che organizzato e strutturato; anzi è del tutto destrutturato e quindi incapace di cogliere la verità con un procedimento chiaro, argomentativo, consequenziale. Sant’Agostino, a differenza di san Tommaso, si trovò a vivere in un tempo molto diverso dal XIII secolo, in un tempo molto simile al nostro; ed egli, nella sua grande intelligenza, capì che il punto di partenza della sua speculazione filosofica non poteva essere l’essere (così come sarà per san Tommaso) quanto l’esistenza umana con i suoi più profondi bisogni.
Sant’Agostino d’Ippona, a costo di essere meno rigoroso e argomentativo, scelse la strada della prospettiva sanamente (attenzione: sanamente!) esistenziale. Sapeva che il suo interlocutore era un uomo smarrito, che non conosceva il senso del vivere, che, per il suo essere ancora immerso nelle menzogne di una visione pagana della vita, si sentiva oppresso da un indicibile angoscia e disperazione; e dunque propose prima di tutto il recupero del ruolo dell’uomo nell’avventura della sua esistenza.
In questo senso il pensiero di sant’Agostino d’Ippona è attualissimo, proprio perché l’uomo di oggi si trova anch’egli oppresso (ancora più drammaticamente) dallo stesso disorientamento esistenziale dell’uomo del tramonto dell’epoca antica. I punti in cui il pensiero di sant’Agostino mostra tutta la sua attualità e nei quali con più evidenza è attento a questa dimensione esistenziale, sono due: quello riconducibile ad una sorta di socratismo cristiano e quello sulla concezione del tempo.
Agostino d’Ippona e il “socratismo cristiano”
La maieutica di Socrate, fondata sul motto “conosci te stesso”, è un invito all’interiorità ed anche sant’Agostino d’Ippona esorta alla ricerca interiore: ma mentre per Socrate questa ricerca si realizzerebbe solo in un’attività intellettuale, per sant’Agostino si realizzerebbe, invece, in uno slancio di fede e di amore, che dovrebbe coinvolgere, oltre all’intelletto, la volontà, i sentimenti e lo spirito religioso.
Dunque, sant’Agostino volle partire da Socrate e disse che l’uomo deve prima di tutto conoscere se stesso; precisando però che questo conoscere se stessi non è per “soggettivizzare” la verità (per la serie: ognuno può dire ciò che vuole) ma per conquistare la verità universale eterna.
Prima di tutto, il partire dal soggetto significava per lui confutare la visione scettica della vita, ovvero la menzogna secondo cui non sarebbe possibile conoscere la verità. Ammettiamo – diceva – che si debba dubitare di tutto, se io però dubito, vuol dire che esisto, e se esisto, vuol dire che non posso dubitare della certezza di esistere («Se infatti mi sbaglio, vuol dire che esisto: chi non esiste non può nemmeno sbagliarsi; dunque, siccome mi sbaglio, esisto»).
Per sant’Agostino partire dal soggetto significava anche un’altra cosa. Ciò che è al di fuori della persona umana è mutevole e particolare. Questo non vuol dire che la realtà oggettiva sia un male (una “tenebra” come diceva Plotino), bensì la risposta del problema metafisico vada cercata dentro la persona: «Non uscire fuori, rientra in te stesso: la verità abita nell’intimo dell’uomo. E se poi scopri che la tua natura è mutevole, pensa a ciò che ti trascende». Dunque, il partire dal soggetto non è per raggiungere una sorta di soggettivismo, ma al contrario per raggiungere ciò che trascende il soggetto.
Solo l’anima umana, ritornando in se stessa, può avere coscienza della mutevolezza delle cose. Nessuna realtà può avere valore metafisico se non nella prospettiva dell’eterno (sub specie æternitatis); e per guardare le cose nella prospettiva dell’eterno occorre “interiorizzare” la conoscenza.
Ha scritto Michele Federico Sciacca che la filosofia di sant’Agostino «è un costante, ininterrotto e caldo colloquio tra la creatura e il Creatore (…). Conoscere se stessi – ma conoscersi nella struttura profonda del proprio essere – è sapere che Dio esiste, è incontrarsi con Lui sul terreno fecondo e fecondatore dell’amore. (…) Per lui la verità non è una “veduta” mentale, ma la “vita” della mente e dell’uomo nella sua pienezza e integralità; la vita illuminata dalla e nella verità e la verità vitalizzata dalla e nella vita. Non si specula “intorno” alla verità, dal di fuori, come intorno a una cosa che ci sia estranea, ma dal di dentro la si pensa e la si vive, dal di dentro di essa, che è l’interiorità dell’uomo».
Insomma, per sant’Agostino, l’uomo conosce veramente se stesso solo entrando nel suo intimo, cioè in quel “luogo” dove può davvero cogliere la sua origine e il suo fine.
Il tempo come “eterno presente”
Una poesia del poeta spagnolo José Zorrilla (1817-1893), poesia che s’intitola L’orologio, può essere utilizzata per capire la concezione del tempo di sant’Agostino; anche se forse il poeta non aveva questa intenzione. Essa dice: «Se attraversando la vasta piazza (che vuol dire una vita ormai disorientata, così come la piazza disorienta), si vedono nel loro lento movimento girare le lancette sulla sfera e lasciare un segno dietro (un assurdo che vuol dire tanto: la scia viene lasciata da un movimento veloce non lento, il che vuol dire che questa scia sta a significare il ricordo, la nostalgia), si fissano gli occhi e il cuore freme, poiché crescendo il tempo, più piccolo rimane. E intanto gira la lancetta e l’esistenza trascorre. Questo è il momento più bello: poi tutto si perde».
È proprio così. Quando il tempo è orientato verso il nulla, non resta che apprezzarlo nel suo attimo, ma cos’è l’attimo se non un passaggio impercettibile e fuggevole? Sul tempo (e non solo) la cultura contemporanea mostra il fallimento di un’illusione che è naufragata sulla distruzione di tutto, anche del progetto e della speranza che sono connaturati in ogni essere umano. Il tempo o è apertura verso l’eternità o è maledizione, nessuno lo può negare. Il tempo come apertura verso l’eternità è il tempo diviene per un “fine”… e tutto questo è possibile se l’uomo riconosce una dipendenza creaturale.
In questo eterno che rende significativo il tempo, questo si pone come eterno presente, laddove nulla di quello che si è fatto svanisce e laddove non svanisce nemmeno quello che si vorrà fare. Ogni azione e ogni avvenimento passati non svaniscono perché le conseguenze di queste azioni e di questi avvenimenti, nel loro compiersi, hanno “costruito” quello che sarà il giudizio di Dio quando l’anima gli sarà dinanzi dopo la morte corporale.
Questo vale per il passato, ma anche per il futuro. Anche il futuro – in un certo qual modo – è già presente. Secondo il Cristianesimo, ciò che accadrà è già nell’intenzione dell’uomo, il quale si propone di vivere il futuro secondo un senso capace di conseguire ed ottenere un certo giudizio di Dio: «In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt. 25, 45-46).
Senza questa prospettiva, che è tipica del Cristianesimo, il tempo è solo uno scorrere, senza senso, di fatti, dove il passato viene irrimediabilmente perso e il futuro irrimediabilmente subìto. Sant’Agostino è il grande maestro della prospettiva cristiana del tempo. Egli introduce il concetto di “animus” per capire come l’uomo abbia la coscienza del tempo ma anche la possibilità di sconfiggerlo. L’animus è la presenza dell’uomo a se stesso, cioè il fatto che l’uomo può cogliere il suo mistero solo nella dimensione della sua creaturalità e quindi della sua dipendenza da Dio.
Per sant’Agostino, passato, presente e futuro non si realizzano in se stessi, ma vanno vissuti come «presente del passato, presente del presente e presente del futuro» È la «distensione dell’animo» che abbraccia la successione naturale delle cose e la traduce in esperienza umana del tempo. La concezione di sant’Agostino (e cristiana) del tempo è la vera alternativa alla nullificazione dell’esistere.
FONTE: Radici Cristiane n.27