Cristianesimo e corpo

Nel Cristianesimo è facile distinguere ciò che costituisce valore da ciò che non lo è. Tutto ciò che Dio ha voluto e creato è valore, è «cosa buona» (Gn. 1). Non è valore, invece, ciò che è conseguito al peccato. Così, il corpo è un valore perché voluto e creato da Dio e non è una conseguenza del peccato. Conseguenza del peccato è la corruzione del corpo, non il corpo.
Dio ha voluto l’uomo diverso dall’angelo, che è stato creato come essere unicamente spirituale. L’uomo no. L’uomo è un’unione sostanziale di spirito e di corpo. Né lo spirito, né tantomeno il corpo, costituiscono elementi accidentali, ma sostanziali, indispensabili, affinché l’uomo sia.
Scrive san Giustino nel De Resurrectione: «L’uomo è forse altra cosa che un animale ragionevole composto di corpo e di anima? O forse l’anima, presa separatamente, è l’uomo? No assolutamente! Si chiamerà il corpo dell’uomo. Quindi, se nessuna di queste cose, prese separatamente, è l’uomo, solo quello che è composto delle due cose si chiamerà uomo».
San Bernardo di Chiaravalle insiste su come nel Cristianesimo tutto cominci dalla carne: «(…) poiché siamo carnali, Dio fa che il nostro desiderio e il nostro amore comincino dalla carne» (Epistola 11).
La resurrezione dei corpi
Tanto l’antropologia giudaico-biblica quanto quella cristiana possono a pieno diritto parlare di resurrezione dei corpi, perché per esse il corpo costituisce valore, perché per esse Dio vuole e crea il corpo, perché per esse l’uomo è tale nell’unione di spirito e corpo. Per queste antropologie si deve restaurare quello che era il progetto iniziale di Dio.
L’uomo non può essere nell’eternità solo in spirito, ma in spirito e corpo, perché l’uomo è unione sostanziale di spirito e corpo. E Gesù, infatti, dice che non ci si deve meravigliare della resurrezione dei corpi: «Non vi meravigliate (…) verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri (…) ne usciranno: quanti fecero il bene, per una risurrezione di vita e quanti fecero il male, per una risurrezione di condanna» (Gv. 5, 28-29)
Se in alcuni contesti antichi – in particolar modo quello egiziano – il corpo non poteva accedere all’eternità se non adeguatamente trattato, nella cultura cristiana ciò che impedisce immediatamente la vita eterna al corpo non è una sua inadeguatezza ontologica (che Dio supera gratuitamente facendo meritare al corpo la vita eterna), ma la conseguenza di un’inadeguatezza morale: l’esito del peccato originale.
E non si può negare quanto questa attesa della resurrezione dei corpi – che è un’attesa da cui l’escatologia cristiana non può prescindere – costituisca un elemento di forte valorizzazione del corpo stesso.
Il corpo è stato assunto da Dio
Nel Cristianesimo la positività del corpo viene maggiormente affermata con l’Incarnazione. Questo fatto umanamente inimmaginabile decreta che il corpo è un amico per l’uomo. Dice san Gregorio di Nazanzio: «(…) in considerazione di colui che tale unione ha stabilito e realizzato, dovrò abbracciare il corpo come un amico» (Discorsi 14, 6-8).
Altro che “prigione dell’anima”, altro che zavorra da cui liberarsi quanto prima! Il corpo umano ha un valore così alto che Dio stesso lo prende, lo fa proprio. Dio – pur essendo Dio – ha avuto bisogno di mangiare e di bere. Dio ha avuto un corpo reale.
Sant’Ignazio di Antiochia evidenzia tutta la carnalità di Cristo. Il Cristo che morì sulla Croce e risorse, ma anche il Cristo che mangiò e bevve: «Turatevi le orecchie quando qualcuno vi parla d’altro che non sia Gesù Cristo, della stirpe di Davide, figlio di Maria, che realmente nacque, mangiò e bevve.
Realmente fu perseguitato sotto Ponzio Pilato; realmente fu crocifisso e morì, sotto gli occhi degli abitanti del cielo, della terra e degli inferi. Egli realmente risorse dai morti perché il Padre suo lo risuscitò» (Lettera ai cristiani di Tralli, 9, 1-2).
Basterebbero solo queste considerazioni per dimostrare la diversità di atteggiamento della cultura cristiana rispetto ad altre culture. Altre culture che non hanno l’Incarnazione.
Cristianesimo e corpo: la salvezza passa attraverso il corpo
Lo abbiamo detto: per il Cristianesimo l’uomo è anche corpo; e così la storia della salvezza si realizza attraverso le scelte che uomini operano nel profondo delle loro coscienze, ma anche attraverso il sudore della fatica della propria carnalità.
La frattura tra Dio e l’umanità si rimargina con la redenzione operata da Gesù Cristo, redenzione in cui all’offerta del proprio spirito (l’adesione della volontà del Figlio a quella del Padre) si accompagna l’offerta totale del proprio corpo (la sofferenza fisica della passione e poi della crocifissione). Così il Cristianesimo decreta che la salvezza passa e si realizza attraverso il corpo e rifiuta qualsiasi tipo di spiritualismo.
Tradizionalmente, per il Cristianesimo è sempre stato molto importante venerare, toccare le reliquie di santi e pregare dinanzi ad esse. Il corpo di santa Caterina da Siena, subito dopo la morte, venne fatto a pezzi per farne reliquie per accontentare tutti. Gli stessi pellegrinaggi in Terra Santa, così diffusi nei secoli della Cristianità, mossero dal desiderio di toccare con mano i luoghi in cui si era espressa la carnalità del Redentore.
Nel Cristianesimo, inoltre, c’è sempre stata la convinzione secondo cui dal volto e dal corpo è possibile capire in quale stato sia l’anima. San Tommaso d’Aquino nella Summa (Secunda secundae, q.168) cita questa frase di sant’Ambrogio: «(…) le disposizioni dell’anima si scorgono nell’atteggiamento del corpo». E lo stesso san Tommaso d’Aquino aggiunge: «I moti esterni sono, (…) l’indice delle disposizioni interiori (…)». D’altronde già la Sacra Scrittura afferma: «Dall’aspetto si conosce l’uomo, e dal come una persona si presenta si conosce il saggio» (Sir. 19,26)
L’attività corporale come via di santificazione
Scrive san Paolo: «(…) il corpo (…) è (…) per il Signore, e il Signore è per il corpo» (1 Cor. 6,13). Nel Cristianesimo ciò che non è difetto e non è peccato, è santificabile. Il corpo è un valore. Ed è peccato – grave peccato – escludere il corpo dalla comunione e dalla dipendenza nei confronti di Dio.
Nel Cristianesimo, la corporeità rientra a pieno titolo nella dimensione morale. Corpo e anima non sono separabili: si salvano o si perdono insieme. L’uomo perde la salvezza non solo per peccati di fede, ma anche per peccati corporali. Dice sempre san Paolo: «Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio» (1 Cor. 6, 9-10).
In tal modo è chiara la connotazione antintellettualistica della cultura cristiana rispetto a quella classica, che non è immune da contaminazioni gnostiche. Il corpo come via di santificazione è un vero e proprio manifesto antignostico.
Proprio contro gli gnostici, sant’Ireneo afferma che è gente vana quella che disprezza tutto il creato di Dio, che nega che la carne possa salvarsi, che disprezza la sua rigenerazione. La carne, perché nutrita dal corpo e sangue di Cristo e perché fa parte del suo essere, può ricevere la grazia di Dio.
L’aiuto al corpo come via di santificazione
Ma per il Cristianesimo non solo l’attività corporale è via di santificazione, lo è anche l’aiuto al corpo. Il Cristianesimo parla di “opere di misericordia corporale”, doverose per meritare il paradiso.
La stessa attività missionaria cristiana attesta l’obbligo dell’aiuto al corpo. È vero che nelle missioni l’evangelizzazione ha una priorità logica (si va in missione per convertire!), ma non sempre può avere una priorità cronologica. Se un povero disgraziato ha tanto “fame” materiale, quanto spirituale, il soddisfacimento di quest’ultima ha certamente una priorità logica – perché le esigenze dello spirito precedono quelle del corpo – ma non può avere una priorità cronologica. Un uomo a pancia vuota è difficile che possa stare attento anche al predicatore più convincente!
Così il soddisfacimento della fame spirituale se non è confortato dalla volontà di soddisfare anche la fame materiale non è credibile, perché l’uomo è unica sostanza fatta di spirito e corpo. «Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo che giova?» (Gc. 2, 15-16)
Cristianesimo e corpo: Dio per l’eternità in un corpo umano
L’Incarnazione non è un avvenimento provvisorio. Il Verbo, incarnandosi, ha preso una natura che conserverà per sempre. Ora, in questo momento, in Paradiso, il Verbo è incarnato e lo sarà per sempre. È evidente che ciò si traduce in una – seppur indiretta – valorizzazione del corpo umano. La Seconda Persona della Trinità, che deve essere adorata, deve esserlo anche nel suo corpo umano.
FONTE: Radici Cristiane n. 60