Cristo della moneta, un’opera di Tiziano Vecellio

Cristo della moneta, un'opera di Tiziano Vecellio - Schola Palatina

Il quadro di Tiziano Vecellio dal titolo Cristo della moneta, posto sopra la porta di un armadio, fu realizzato per una destinazione e una commissione privata, quella del duca Alfonso d’Este. In uno spazio ristretto e indefinito dal fondo scuro, che quasi non lascia né possibilità di respiro e nemmeno occasione di distrazione, si pongono allo sguardo del fedele i due volti e i gesti in contrasto di Gesù e del fariseo. Impossibile non sentirsi parte della scena in quest’opera firmata dall’artista e databile attorno al 1516, agli esordi della sua lunga e sfolgorante carriera.

Attorno alla metà del Cinquecento, Giorgio Vasari visitò a Ferrara lo studiolo del duca Alfonso d’Este nel castello Estense e lì descrisse un quadro di Tiziano Vecellio posto sopra la porta di un armadio: «Similmente nella porta d’un armario dipinse Tiziano dal mezzo in su una testa di Cristo, maravigliosa e stupenda, a cui un villano ebreo mostra la moneta di Cesare».

L’opera in esame, quindi, fu realizzata per una destinazione e una commissione privata, quella del duca Alfonso d’Este, il che ne giustifica sia le dimensioni contenute (75×56 cm), sia il taglio compositivo molto ravvicinato, «dal mezzo in su», appunto, con le figure troncate a metà del busto. In uno spazio ristretto e indefinito dal fondo scuro, che quasi non lascia né possibilità di respiro e nemmeno occasione di distrazione, si pongono allo sguardo del fedele i due volti e i gesti in contrasto di Gesù e del fariseo. Impossibile non sentirsi parte della scena in quest’opera firmata dall’artista e databile attorno al 1516, agli esordi della sua lunga e sfolgorante carriera.

Indurre la meditazione

L’obiettivo di questa tavola, d’altra parte, era proprio quello d’indurre lo spettatore alla meditazione, attraverso un’immedesimazione emotiva prima che razionale, ma anche psicologica e fisica, secondo una tendenza di linguaggio e di approccio alla fede, che diverrà centrale nell’era barocca.

L’azione è incentrata sul quesito posto a tranello al Salvatore e sulla sua ferma e spiazzante risposta, così come narrato dai Vangeli (Mc 12, 13-17; Mt 22, 15-22; Lc 20, 20-26): «Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare? Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: “Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo”. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?”. Gli risposero: “Di Cesare”. Allora disse loro: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono» (Mt 22, 17-22).

E da meditare, di fronte a questa vicenda, c’è parecchio, perché la domanda posta dai farisei era centrale non solo nella situazione politica in cui Israele si trovava in quel momento, ma anche nella questione sempiterna del rapporto tra i credenti, il potere, i beni del mondo e Dio. Un tema assai adatto, per un uomo di potere quale era Alfonso d’Este.

Cristo e la moneta

Il soggetto raffigurato è peraltro poco comune e forse anche per questo viene talvolta confuso – dalla critica moderna più che da quella antica – con l’episodio del tributo della moneta (Mt 17, 24-27). Fatto sta che il personaggio sulla destra di certo non raffigura san Pietro, come alcuni dicono, anche perché la sua iconografia è più che codificata e riconoscibile e ben diversa dal personaggio che interloquisce con Gesù.

Infatti, nonostante Tiziano abbia ridotto all’osso gli elementi raffigurati nella scena, quei pochi dettagli e i brillanti colori utilizzati bastano, per giungere al dunque dell’identificazione dei personaggi, delle azioni in campo e del loro significato.

Il centro narrativo della scena è la moneta, che è girata dalla parte del ritratto di Cesare e che Cristo pare avere appena restituito al fariseo alla sua sinistra. Ma il rosso della veste del Salvatore, esaltato per contrasto dal blu scuro del manto che la avvolge, domina lo spazio e invita l’occhio dello spettatore a spostare la sua attenzione dal denaro al volto di Gesù. Perché è lì che si trova il vero centro della luce e del messaggio spirituale del quadro e il tono chiaro della sua pelle contrasta con quello più arrossato di chi è stato appena smascherato nella sua malafede, quella di voler “cogliere in fallo” il Salvatore.

Il fariseo ha una veste gialla e un orecchino con un pendente rosso, forse un costoso rubino. Il dettaglio del gioiello, che spicca sul fondo scuro dell’ombra sul collo del personaggio, richiama volutamente l’attenzione, perché è un segno della sua ostentata ricchezza e del suo attaccamento al denaro e quindi anche della sua ipocrisia. Ad evidenziarlo è anche la sua mano, con le dita strette per riprendersi la moneta che Cristo gli ha appena restituito.

Il fariseo

D’altra parte, secondo un gioco di contrasti che è tipico dell’arte veneta e ancor più di Tiziano, la figura del fariseo è di fatto contrapposta in tutto a quella di Gesù. Il Salvatore ha una presenza diretta, luminosa, senza maschere, sobria ma di sostanza. Il fariseo sembra, invece, appena sbucato da dietro le sue spalle, per raggirarlo, bloccarlo e obbligarlo a rispondere al suo quesito/tranello. Le sue mani e il suo volto sono più scuri, non solo per la più avanzata età, ma anche per il male che li ha scavati.

Nessuna tensione compare, invece, nel viso in piena luce e nello sguardo fermo di Cristo. A lui basta guardare negli occhi il suo interlocutore, per porlo di fronte alle sue responsabilità, per smascherarlo nelle sue vere intenzioni e per neutralizzarne l’aggressività. Le bocche sono chiuse, la moneta è ormai passata in secondo piano. Ma l’arte di Tiziano riesce a colpire il centro della coscienza del fedele, come pochi altri sanno fare.

FONTE: Radici Cristiane n. 167

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