La Natività del Pinturicchio

La Natività del Pinturicchio - Schola Palatina

Nel 1099 papa Pasquale II fece costruire una piccola cappella dedicata alla Vergine sul luogo dove si diceva fosse il sepolcro di Nerone. Siamo a Roma, subito dopo l’ingresso nord della città, la porta Flaminia e l’attuale piazza del Popolo. La chiesa fu eretta a spese del Popolo Romano ossia del Comune e per questo da allora denominata Santa Maria del Popolo. Nel 1472 papa Sisto IV della Rovere la affidò agli Agostiniani della Congregazione Lombarda e insieme ne promossero la totale ricostruzione nel nuovo stile classico rinascimentale, costituendo uno dei primi esempi tangibili della rinascita dell’antica gloria di Roma in un luogo peraltro strategico, essendo l’ingresso nord il più frequentato da chi vi giungesse da fuori.

Una basilica “di famiglia”

Tra gli obiettivi di papa Sisto IV vi era anche quello di fare della basilica un mausoleo della sua famiglia e per questo motivo le cappelle laterali furono affidate a personaggi appartenenti alla casata della Rovere o ad essa collegati. Il Vasari loda in particolare la prima entrando a destra, «quella di Domenico della Rovere, cardinale di San Clemente e nipote di quel papa». Di pianta pentagonale, è detta anche “del Presepio” e fu interamente affrescata attorno al 1488-90 o, secondo altre ipotesi, già entro il 1482, dal pittore umbro Bernardino di Betto detto il Pinturicchio, che lavorò in squadra con la sua bottega e con lo scultore e architetto Andrea Bregno – probabile autore anche dell’intero progetto della chiesa –, il quale realizzò il monumento sepolcrale del cardinale e di suo fratello Cristoforo posto sulla parete sinistra, ma anche la bella balaustra d’ingresso e la cornice marmorea della pala d’altare.

Questa vuole simulare una cornice lignea a contorno di una tavola dipinta, che in realtà è un affresco, e il centro di un ciclo pittorico che, come dice l’iscrizione dedicatoria della cappella, è dedicato a Maria Vergine Madre di Dio e a san Gerolamo. Le storie del santo, infatti, sono narrate nelle lunette poste sotto la volta, dipinta un tempo con motivi all’antica e poi ricoperta da un cielo stellato. E la sua figura è posta in primo piano, benché ad un livello più basso rispetto alla Vergine, anche nella pala d’altare, vero fulcro iconografico e devozionale di tutto il ciclo decorativo.

Più livelli di narrazione

La semplicità dell’impianto compositivo di questa è solo apparente, perché ospita più di un livello di lettura e di narrazione: il soggetto principale è il Presepio, appunto, ma insieme a questo è l’adorazione dei pastori, quella di san Girolamo, e nello sfondo già s’intravede il corteo dei magi. Nella sua apparente semplicità, la capanna è in realtà una struttura maestosa, costruita su due strutture in rovina diverse: in primo piano un pilastro a mattoni e dall’altro una parete arcata a conci di pietra, memori del mondo antico pagano sostituito dall’avvento della nuova era cristiana. Il suo tetto a capriate, descritto nei minimi dettagli della copertura di paglia, diviene però anche la guida visiva e geometrica che rivela il solido impianto prospettico su cui si sostiene l’intera composizione della scena e le sue direttrici orientano lo sguardo dello spettatore verso quello che sta succedendo in lontananza e verso la zona più profonda del paesaggio retrostante.

Tra fantasia e realtà

In questo si distinguono degli edifici a metà tra la fantasia e la realtà. Proprio l’arcata diruta incornicia un’altra serie di arcate, quelle di un ponte sul fiume, a evidenza il Tevere. Il ponte, per le sue arcate delimitate da semicolonne, ricorda molto uno dei pochi che all’epoca esistevano a Roma, quello di Castel Sant’Angelo, costruito dall’imperatore Adriano, che era poi il più importante, perché costituiva il principale e il più agevole attraversamento del Tevere per i pellegrini che giunti da nord ed entrati da porta Flaminia, si recavano in Vaticano. A questo luogo sacro sembra alludere anche il campanile con cuspide a piramide e pareti traforate da bifore, molto simile a quello che un tempo inaugurava la piazza dell’antica basilica di San Pietro. D’altra parte, la chiesa costruita sulla tomba del Principe degli Apostoli era la meta più agognata dalla maggior parte dei visitatori che, appena giunti a Roma, sostavano in primo luogo proprio nella basilica di Santa Maria del Popolo, per entrare nella fase più viva e intensa del loro pellegrinaggio.

L’angelo ed i Magi

Il punto di fuga prospettico è posto lungo il fusto dell’albero collocato in corrispondenza con l’asse principale dello spazio pittorico. La sua è un’ulteriore direttrice visiva, che ci spinge a guardare verso l’alto, per scoprire l’angelo che dal cielo annuncia la venuta del Figlio di Dio ai pastori, i quali insieme alle loro pecore si trovano sulla parte più alta della montagna rocciosa a sinistra. Contemporaneamente, da una sorta di arcata naturale creatasi proprio sotto i piedi del gregge, sbuca il corteo dei re magi. La contemporaneità spaziale e temporale dei due gruppi indica, tra l’altro, come Dio si sia fatto uomo per tutti e come si sia reso riconoscibile ai sapienti come ai semplici. Lo stesso concetto è ribadito, in fondo, anche dalla presenza di san Gerolamo in primo piano. Il santo sapiente, il Padre della Chiesa, in questa scena condivide con i pastori l’adorazione per il bimbo Gesù. Vestito da eremita, è umilmente inginocchiato insieme al suo consueto leone, che sbuca da dietro le spalle.

La Sacra Famiglia

La Sacra Famiglia, riscaldata dall’asinello e dal bue, che da dietro una paratia di vimini intercetta lo sguardo dello spettatore, incornicia la figura centrale del Figlio, rappresentato in atteggiamento vivace e spontaneo e adagiato a terra, ma con il capo poggiato su di un fascio di spighe. Il riferimento all’Eucaristia è evidente. Quella stessa che veniva celebrata sull’altare sottostante e che, quando elevata, era posta in diretta corrispondenza con il suo vero contenuto: il Figlio di Dio incarnato e presente nel mondo, qui e ora.

FONTE: Radici Cristiane n. 159

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