Protestantesimo: cos’è e perché nacque?
Cause del Luteranesimo
I motivi che spinsero Lutero a fare quello che fece possono essere ridotti a tre: culturale, filosofico e psicologico.
Il motivo culturale ci fa capire che Lutero era figlio dei suoi tempi; e i suoi tempi erano quelli di un successo dell’umanesimo e del filologismo come “segni” di un evidente antiautoritarismo.
Per umanesimo s’intende un vasto movimento culturale e spirituale sorto nei primi decenni del 1400 in Italia, incentrato sullo studio e sulla valorizzazione dell’uomo. Per filologismo s’intende, invece, lo studio critico dei testi comprendente la ricerca delle fonti e la loro analisi. Ebbene, l’abolizione luterana del Primato di Pietro, del sacerdozio ministeriale e del Magistero sono segni chiari di questo rifiuto del concetto di autorità.
Nominalismo e fideismo
Passiamo al motivo filosofico. I tempi di Lutero erano tempi di trionfo del cosiddetto nominalismo (negazione del valore degli universali) che fu un’estremizzazione della ragione per cui i fatti e le idee erano messi sullo stesso piano.
Questo nominalismo avrebbe determinato nel Protestantesimo tanto una causa scatenante quanto una causa reagente. La causa scatenante: il razionalismo che venne fuori dal nominalismo facilitò l’insorgere del soggettivismo (senza gli universali non è possibile la metafisica e, senza la metafisica, è possibile solo il soggettivismo). La causa reagente: la reazione allo scetticismo del razionalismo nominalistico condusse facilmente alla fiducia nella sola fede, cioé al fideismo; e infatti il Protestantesimo è convintamente fideista.
Mancanza di adesione alla grazia
Infine il motivo psicologico. Lutero, in realtà, non aveva la vocazione né alla vita monastica né al sacerdozio; da qui la sua infelicità. Oggi sappiamo che quando era all’Università di Erfurt, si batté a duello con un compagno, Gerome Bluntz, uccidendolo. Dunque, entrò nel monastero degli agostiniani solo per sfuggire alla giustizia. Lui stesso lo dice: «Mi sono fatto monaco perché non mi potessero prendere. Se non lo avessi fatto, sarei stato arrestato. Ma così fu impossibile, visto che l’ordine agostiniano mi proteggeva».
Questa assenza di vocazione lo rese nevrotico e infelice. Si narra che durante la sua prima Messa, al momento dell’offertorio, stava per fuggire e fu trattenuto dal suo superiore. Potremmo chiederci: ma se eventualmente si sbaglia la vocazione è possibile mai che il Signore non dia la grazia sufficiente per andare avanti? Certamente. Il problema di Lutero fu un altro e cioè che non volle rendersi docile alla Grazia.
Quando si abbandona tutto e si tradisce la verità è sempre perché si è prima abbandonato la preghiera. Lutero stesso scrisse nel 1516, cioè prima della svolta della sua vita: «Raramente ho il tempo di pregare il Breviario e di celebrare la Messa. Sono troppo sollecitato dalle tentazioni della carne, del mondo e del diavolo».
Fu così che credette di trovare la soluzione della sua infelicità nella Lettera ai Romani (1,17): «Il giusto vivrà per la sua fede». Per la salvezza non occorrerebbe nessun sforzo di volontà se non quello di abbandonarsi ciecamente alla fede nel Signore (fideismo).
Protestantesimo: la risposta di sant’Ignazio
In Lutero, dunque, si ritrova tanto il volontarismo quanto il fideismo. Il volontarismo: darsi una vocazione che non c’è; il fideismo: negare totalmente qualsiasi contributo della volontà. Due errori completamente diversi, ma, proprio perché errori, dalla origine comune.
L’ipotesi di una successione diacronica di volontarismo e di fideismo in Lutero troverebbe conferma negli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola, contemporaneo di Lutero, che impostò la spiritualità del suo Ordine (i Gesuiti) in chiara prospettiva antiluterana.
Scrive sant’Ignazio: «Ci sono tre tempi o circostanze per fare una buona e sana elezione. Il primo: è quando Dio nostro Signore muove e attrae tanto la volontà che, senza dubitare né poter dubitare, l’anima devota segue quello che le è mostrato, come fecero san Paolo e san Matteo nel seguire Cristo nostro Signore.
Il secondo: quando si riceve molta chiarezza e conoscenza per mezzo di consolazioni e desolazioni, e per l’esistenza del discernimento degli spiriti.
Il terzo: è il tempo di tranquillità. L’uomo, considerando prima perché è nato, e cioè per lodare Dio nostro Signore e salvare la sua anima, e desiderando questo, elegge come mezzo uno stato o un genere di vita nell’ambito della Chiesa, per essere aiutato nel servizio del suo Signore e nella salvezza della propria anima. È tempo di tranquillità quello in cui l’anima non è agitata da vari spiriti e usa delle sue potenze naturali liberamente e tranquillamente».
Dunque, dice sant’Ignazio, è molto importante non sbagliare la propria vocazione avendo come unico scopo quello di rendere gloria a Dio. Che ci sia anche un’allusione all’esperienza di Martin Lutero?
FONTE: Radici Cristiane n. 18