Roma nel Quattrocento: le origini del Rinascimento

Roma nel Quattrocento: le origini del Rinascimento - Schola Palatina

Se si pensa all’arte del Quattrocento, si pensa naturalmente al Rinascimento e a Firenze. Tornano in mente i nomi dei grandi artisti toscani che hanno iniziato a “parlare” una nuova lingua, basata sulla cultura umanistica e sulle sperimentazioni prospettiche. Si pensa all’incontro e alla sovrapposizione delle iconografie pagane con le forme artistiche della rappresentazione cristiana. Ma le radici che sostengono queste nuove espressioni sono da ricercare nella culla dell’antichità e della Cristianità: Roma, la città “eterna”.

Un periodo tormentato

La mostra presentata nelle sale del Museo del Corso a Roma (che rimarrà aperta fino al 7 settembre 2008) porta all’attenzione del pubblico una selezione di oltre 150 pezzi, tra opere d’arte e oggetti d’uso e d’arredo, che esemplificano la cultura a Roma nel XV secolo. Fu un periodo tormentato in cui si definirono nuovi delicati equilibri politici; da poco si era esaurita (nel 1377) la vicenda del Papato avignonese quando l’Occidente si spaccò in due per il Grande Scisma del 1378. Roma continuava ad essere tuttavia la città più importante per la Cristianità e la sua preponderanza crebbe ulteriormente con la conquista da parte di Maometto II di Costantinopoli nel 1453 e il crollo dell’Impero Romano d’Oriente.

Si infranse così la speranza di riconciliare tutti i cristiani nutrita e attuata dall’Imperatore d’Oriente Giovanni VIII Paleologo con la propria presenza al Concilio di Firenze nel 1439. Roma diventava il baluardo dell’intera cristianità e ad essa spettava il compito di riconquistare la Terra Santa. Papa Pio II Piccolomini (1458-1464) morì ad Ancona, in procinto di imbarcarsi per la riconquista dei territori cristiani d’Oriente. E quella Crociata, che non aveva trovato l’appoggio dei principi legati alla Chiesa, non fu realizzata.

Roma “insegna” ai grandi artisti

Dunque, Roma come città cristiana per eccellenza, ma anche espressione di quella cultura classica cui le più alte menti dell’epoca si rivolgevano nel tentativo di recuperare e rielaborare l’antico sapere. La Roma dei cesari e quella dei papi si sovrapponevano definitivamente. Così le vestigia del passato, conservate a Roma come in uno scrigno ricolmo di tesori, divennero il vero fondamento della cosiddetta “rinascita” delle arti.

Nel Quattrocento i grandi artisti lombardi, liguri, toscani, umbri, si muovono verso Roma per andare a imparare il linguaggio dell’antichità; allo stesso tempo il mecenatismo dei pontefici, decisi a riportare la città al passato splendore, contribuisce a rendere il suolo romano il più importante luogo di scambio artistico e culturale del tempo.

Leon Battista Alberti, affascinato dall’urbanistica romana, scrisse la Descriptio Urbis Romae (1443-1445), in cui teorizzava un riordino della città con il Campidoglio quale punto focale; poi nel 1452 dedicò il famoso trattato De re Aedificatoria al Papa Niccolò V (1447-1455). Nei primi anni del secolo Donatello e Brunelleschi giunsero a Roma per studiare le tecniche scultoree e architettoniche della città antica. Alla fine degli anni Venti anche il pittore Masolino da Panicale si recava a Roma con Masaccio (che vi morì nel 1428) e ottenne la commissione dal cardinale Branda Castiglione per la decorazione della cappella dedicata a santa Caterina e sant’Ambrogio nella chiesa di san Clemente.

Nella prima metà del secolo a Roma erano presenti anche Gentile da Fabriano, e Pisanello, impegnato nella decorazione di San Giovanni in Laterano lasciata in sospeso a causa della morte di Gentile nel 1426. Gli affreschi andarono poi perduti, come molte altre opere di cantieri dell’epoca, ma la documentazione aiuta nel ricostruire questo importante percorso di committenze d’arte. La mostra dedica proprio a queste opere scomparse un’interessante sezione che comprende gli angeli (staccati e oggi conservati nei Musei Vaticani) di Melozzo da Forlì per la Chiesa dei Santi Apostoli.

Nella stessa sezione è presente la famosa Madonna di Senigallia di Piero della Francesca, nata probabilmente da suggestioni romane, che rimanda alle opere create dell’artista durante i due soggiorni romani: quello del 1454, per la decorazione della volta di una cappella in Santa Maria Maggiore (oggi da poco restaurata e attribuita al pittore con maggiore convinzione), e quello del 1458-1459 per la decorazione dell’appartamento di Pio II, di cui però non resta traccia.

Sono ben documentate, inoltre, le presenze in città di Mantegna, di Filippo Lippi, di Beato Angelico, di Benozzo Gozzoli, di Pinturicchio, di Perugino, di Filippino Lippi e infine di Michelangelo agli albori della propria attività. I diversi stili si mescolano creando tuttavia nell’insieme un sigillo comune di solennità e compostezza. Il volto ieratico di Cristo, dipinto da Beato Angelico, si accosta alle eleganze formali di Gentile da Fabriano; le solide figure di Mantegna (la famosa Madonna delle cave, 1488-1490) e di Filippino Lippi si aggiungono alle dolci Madonne di Perugino e di Filippo Lippi (Madonna con il Bambino, 1437, e Annunciazione, datazione incerta).

Inoltre le opere del pittore Antonio Aquili, detto Antoniazzo Romano, esposte in una sezione a parte, confermano come il vario ambiente artistico romano educò i pittori locali facendo nascere stili personali ed efficaci come si può vedere nella Madonna con il Bambino (1475-1480) e nella splendida tavola con santi della pinacoteca comunale di Montefalco.

Le committenze dei papi

Gli oggetti d’arte esposti al Museo del Corso documentano la committenza dei dodici papi che hanno caratterizzato il corso del XV secolo. Martino V (1417-1431), tornò legittimamente nella sede romana – dopo il Concilio di Costanza che aveva posto fine allo Scisma d’Occidente – e diede inizio alla rinascita di Roma quale centro della Cristianità e delle arti. La città divenne un cantiere in cui ogni papa promuoveva iniziative urbanistiche e artistiche.

La residenza papale fu spostata dal Laterano al borgo di San Pietro; furono perciò promossi i lavori di ripristino di tutta la zona, a partire dalla distruzione dell’antica basilica costantiniana per la costruzione dell’attuale Chiesa di San Pietro. Gli artisti coinvolti nelle imprese dei palazzi vaticani furono molti: Beato Angelico fu chiamato da Papa Eugenio IV (1431-1447) per affrescare una cappella interna e da Papa Niccolò V per la decorazione della cappella Niccolina.

Proprio questo papa aveva promosso un piano di riassetto urbano, poi non compiuto, che avrebbe dovuto coinvolgere anche le mura e le porte di Roma e dare risalto alla “cittadella religiosa” dei palazzi vaticani rispetto alla città “laica” che aveva il suo nucleo nel Campidoglio. A lui si deve inoltre l’apertura della Biblioteca Apostolica Vaticana che raccoglieva sia testi di patristica, sia di autori classici.

Questi progetti furono la premessa di ulteriori lavori per la residenza papale realizzati successivamente dal generale dei francescani e professore di teologia Francesco della Rovere. Egli, salito al soglio pontificio con il nome di Sisto IV (1471-1484), si impegnò in due imprese di forte impatto culturale. Restituì al popolo romano antichi rilievi e bronzi, tra cui la Lupa, all’epoca conservati in Vaticano, collocandoli nelle sale del Campidoglio.

Nasceva in questo modo il primo museo pubblico moderno. In secondo luogo si occupò della costruzione della cappella palatina in Vaticano che prese perciò il nome di cappella Sistina. Nell’impresa furono coinvolti numerosi artisti (tra cui Perugino, Signorelli, Botticelli) che collaborarono alla decorazione delle parti pittoriche e musive, contribuendo alla creazione di uno dei luoghi più carichi di mistero e di fascino che la cultura occidentale conosca.

Breve nota critica sull’esposizione

La mostra romana non si è data un compito facile nel tentare di amalgamare e rendere comprensibile l’enormità di eventi culturali, storici, artistici, religiosi e politici del XV secolo. Essa non si occupa solo oggetti d’arte (come potrebbe?) bensì pretende di comprimere l’essenza di cento fatidici anni e più di cultura italiana, e di fornirne i pretenziosi riassunti al pubblico.

Perciò l’esposizione risulta faticosa e a tratti noiosa per l’eccessivo uso di pannelli didattici che tentano di colmare le lacune del visitatore nel tempo che egli ha a disposizione prima di venire spinto di lato dal successivo visitatore. Sarebbe preferibile (ma sono anni che la tendenza non sembra invertirsi) un’inferiore quantità di apparati informativi (chi è veramente interessato si comprerà il catalogo o andrà in biblioteca o consulterà internet!) e soprattutto la scelta di argomenti più circoscritti, per non rischiare di proporre le solite ormai “mostre-bignami”.

FONTE: Radici Cristiane n. 35

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