Tobiolo e l’angelo

Tobiolo e l’angelo - Schola Palatina

Al secondo piano della Galleria Borghese, piano in cui si concentra la vera e propria pinacoteca, una sala accoglie i dipinti cinquecenteschi di produzione lombardo-veneta, in particolare di quell’area di confine tra i due antichi Stati di Milano e Venezia, tra Brescia e Bergamo, che sia a livello politico che artistico è sempre stato un territorio di reciproca contaminazione.

Lo dimostrano i due quadri in sala del bresciano Giovanni Girolamo Savoldo, un talentuoso esponente di quella cultura – che è poi la stessa in cui si formerà di lì a qualche decennio anche il Caravaggio –, ove al nitore dell’immagine e al rigore compositivo, tipicamente lombardi, si aggiungono un particolare uso della luce e del colore, che dichiara le sue radici venete.

Tobiolo e l’angelo: un vero gioiello… a poco prezzo

Il quadro in esame “Tobiolo e l’angelo”, databile variamente al 1522-24 o al 1540 ca. e dalla committenza purtroppo ignota, raffigura l’arcangelo Raffaele con il giovane Tobia (o Tobiolo) ed è una delle poche recenti aggiunte all’originaria collezione del cardinale Scipione Borghese, che si conserva ancora quasi intatta nell’omonima Galleria. Il suo acquisto per sole 10mila lire (!) avvenne tra il 1911 e il 1912, dopo che l’opera fu riconosciuta come «uno degli esemplari più importanti» dell’artista.

E lo è, innanzitutto per la magistrale tecnica compositiva e pittorica, tutta giocata su una luce fredda che porta alla massima esaltazione la definizione di ogni singolo dettaglio.

Le figure dei due protagonisti spiccano sullo sfondo di un paesaggio boschivo e ombroso, cui non manca uno spaccato a sinistra verso una lontana città, esposta a un cielo ombreggiato da nuvole. Su tale sfondo, tendenzialmente scuro, risaltano in controluce per contrasto l’arcangelo e Tobiolo.

La luce fredda che li colpisce ha effetti quasi surreali, perché la sua provenienza non è dichiarata e non si muove certo in senso naturalistico, ma penetra in ogni meandro delle loro vesti, descrivendole in maniera davvero esemplare non solo nelle singole pieghe, ma anche nella sontuosa qualità dei loro tessuti di seta.

D’altra parte la descrizione così attenta ai drappeggi e ai bagliori di luce prodotti dai tessuti preziosi è uno dei tratti distintivi dell’artista, che raramente viene eguagliato dai suoi contemporanei in questo campo.

Una descrizione minuziosa

I colori dei due sono quasi contrapposti: rosso-arancio e bianco argenteo per entrambi, in alternanza sopra-sotto. Su questi spiccano le ali dell’angelo – quelle sì, davvero bianche – talmente ampie da occupare metà della tela.

Anche queste ultime dimostrano la maestria dell’artista nella descrizione dei più minuti dettagli, ogni singola piuma è distinta dall’altra e quindi saranno certamente in grado di far volare anche Raffaele, che è creatura angelica sì, ma che è ora sceso sulla terra con tutta la sua concretezza fisica. E altrettanto concrete e pratiche sono le istruzioni ch’egli sta fornendo in questo momento al suo giovane protetto, dall’alto di un seggio fatto di roccia.

Il momento della storia raccontato è inusuale rispetto alla tradizione iconografica. Questa solitamente presenta il piccolo Tobia, mentre viene accompagnato per mano nel suo viaggio dall’arcangelo Raffaele. Nel quadro di Savoldo, invece, si traducono in immagine nello specifico i versetti 3 e 4 del capitolo 6 del libro di Tobia, successivi al momento in cui i due si erano fermati per riposarsi la notte, Tobiolo aveva immerso i piedi nell’acqua del fiume Tigri e un grosso pesce aveva tentato di mangiarglieli. A questo punto Raffaele ordina a Tobia di afferrare il pesce e tirarlo a riva, di estrarne il cuore, il fiele e il fegato. Questi organi serviranno poi a guarire dal demonio la futura moglie di Tobia, Sara, e dalla cecità suo padre Tobi, che lo aveva mandato in viaggio per ritirare una somma di denaro presso un suo socio.

Il Savoldo è molto preciso nell’indicazione delle circostanze del racconto: la città in lontananza è quella che i due hanno lasciato e indica che hanno già compiuto una buona parte del cammino. È ora il momento di riposarsi e la luce comincia ad abbassarsi – tranne che sui due protagonisti –. Tobiolo ha già afferrato il pesce, che ha perso ormai il suo aspetto minaccioso e lo tiene con un filo alla sua mano. Raffaele invece, posto più distante dalla riva e in una posizione privilegiata, gli impartisce con volto sereno le debite istruzioni. Persino il cagnolino accovacciato sulla destra è una citazione della Bibbia, perché viene nominato nel primo versetto del capitolo che racconta l’inizio del viaggio (Tb, 6, 1): «il giovane partì insieme con l’angelo e anche il cane li seguì e s’avviò con loro».

Le virtù tutelari

Come mai quindi si è deciso di contravvenire alla tradizione iconografica? Non conoscendo per ora le circostanze di committenza e di destinazione dell’opera, si può rimanere solo nel campo delle ipotesi. Certo è che una scelta del genere tende a esaltare le virtù tutelari della creatura celeste, che non si limitano a un appoggio di mero accompagnamento o di un generico supporto, ma diventa una vera e propria guida per chi si affida alla sua protezione, anche nella soluzione pratica dei vari ostacoli incontrati sulla via.

La storia di Tobiolo e l’angelo, d’altra parte, segna la prima apparizione della funzione e dell’esistenza degli angeli custodi, posti a nostra protezione dal Signore, come infatti ci tiene a indicare lo stesso arcangelo Raffaele: «Quando ero con voi, io non stavo con voi per mia iniziativa, ma per la volontà di Dio: lui dovete benedire sempre, a lui cantate inni» (Tb, 12, 18).

Diventa quasi istintivo, a questo punto, identificare quella luce così misteriosa e nitida che piove sui due con quella del Signore, che li guida dall’alto.

FONTE: Radici Cristiane n. 147

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