La fede in immagini – Intervista alla Prof.ssa Penelope Filacchione

Il corso di storia dell’arte Vedere e raccontare la fede: l’eredità del mondo antico nella prima arte cristiana, promosso lo scorso febbraio dalla nostra piattaforma online Schola Palatina, ha visto avvicendarsi docenti d’eccezione, specializzati sull’arte cristiana dei primi secoli, ed argomenti, nel corso delle lezioni, spazianti dall’analisi del rapporto tra l’imperatore Costantino e la fede cristiana alle modalità di formazione del vocabolario visivo paleocristiano a confronto con i testi, dalla ricerca delle radici classiche del linguaggio artistico cristiano e la loro persistenza nel tempo al primo dialogo tra Oriente e Occidente, nel cuore della città di Roma.

Abbiamo chiesto ad uno dei docenti del corso, la professoressa Penelope Filacchione, storica dell’arte specializzata in iconografia paleocristiana, quali questioni nodali siano emerse dal periodo considerato.

Quali necessità inducono i primi cristiani a contravvenire alla regola di non fare immagine del proprio Dio, regola che derivava dalla radice ebraica?

Ovviamente l’arte, come tutti i linguaggi, parte dalla necessità di esprimere verso l’esterno un bisogno interiore. Clemente Alessandrino, morto nel 215, e Origene, morto tra il 253 e il 254, furono interrogati dai fedeli sull’opportunità di esibire immagini che li qualifichino come cristiani, ad esempio nei sigilli degli anelli. Il loro consiglio fu quello di usare i simboli dell’ancora, del faro, della nave come segni di salvezza: immagini generiche e ampiamente usate anche dai greci. Perfino Omero nell’Odissea usa l’allegoria del faro e dell’ancora come salvezza raggiunta. D’altra parte i cristiani vivevano in un mondo, quello della civiltà mediterranea, già abituato ad esprimersi per immagini da migliaia di anni, in Egitto come in Mesopotamia, i romani come gli etruschi ed i greci, quindi i cristiani non fanno che adottare strumenti già esistenti, per confermare a loro stessi e al mondo una verità.

Ma è anche vero che questo processo non avviene subito: inizialmente usarono immagini generiche; 200 anni dopo la morte di Cristo compaiono le prime immagini sicuramente cristiane a noi pervenute e la loro diffusione sistematica non precede la pace della Chiesa del 313. Ciò potrebbe rappresentare un problema per chi studia: se, infatti, l’archeologia ritrova un sarcofago con scene di vendemmia in una catacomba cristiana possiamo ragionevolmente presumere di trovarci davanti ad una sepoltura cristiana. Ma se lo stesso sarcofago è stato riutilizzato nei secoli successivi in un altro contesto oppure è stato portato in un museo secoli fa, senza dare informazioni circa il luogo di reperimento, noi possiamo solo dire di trovarci davanti ad un sarcofago con scena di vendemmia, ma non possiamo affermare che la vendemmia scolpita su quel sarcofago abbia un significato eucaristico. Viceversa, se in un museo viene esposto un sarcofago con la resurrezione di Lazzaro, ovunque esso sia stato trovato è stato sicuramente realizzato per un cristiano, dato che l’episodio è uno di quelli fondamentali del Nuovo Testamento.

A questo punto l’arte cristiana non nasce solo come catechesi…

Su questo occorre una precisazione: esiste, infatti, intorno allo studio dell’arte dei primi secoli, un errore di fondo. Si pensa che l’arte sia nata per fare catechesi. Lo può, nella misura in cui la persona che la riceve abbia già una formazione che l’indirizzi in quella direzione. L’arte è senza dubbio un ausilio alla catechesi, ma non può sostituirla.

Per fare un esempio: tanto i dipinti nelle chiese quanto le illustrazioni della Bibbia per i ragazzi aiutano ad interiorizzare dei concetti, ma le immagini non possono sostituirsi ai concetti, come non lo possono le parole. Per raccontare qualcosa a parole o in immagini dobbiamo prima aver chiarito a noi stessi il concetto da esprimere. Quindi non è l’arte che fa la Chiesa, ma è la Chiesa con la sua complessità intellettuale, teologica, filosofica, morale, etica, sociale, che fa l’arte. Un’arte sempre più capace di rispecchiarne la complessità man mano che questa si struttura.

Certamente però l’arte nasce anche come un modo per “confortare” un bisogno di spiritualità, anche se potrebbe attrarre l’attenzione di chi ancora non segua quella fede. Ma non è detto che la bellezza o la ricchezza artistica e decorativa di una chiesa siano sempre percepite come positive: pensiamo alle correnti protestanti, che non comprendendone o valutandone le radici teologiche ed espressive, la interpretano come un segno di sperpero e vanità terreno.

Che cosa insegnano al mondo in cui viviamo le immagini ed il linguaggio artistico dei primi cristiani?

Vedere e studiare la fede dei primi cristiani attraverso le immagini che hanno creato, osservare come al tempo abbiano cercato conforto in essa anche attraverso le immagini – soprattutto in periodi difficilissimi per la storia del Cristianesimo – è di certo un esempio, un modello da seguire. Possiamo quindi affermare che studiare questo periodo così affascinante e vitale fa senza dubbio bene a tutti noi!

FONTE: Radici Cristiane n. 165

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