La trasfigurazione della Croce

La trasfigurazione della Croce - Schola Palatina
FONTE IMMAGINE: Opera propria di Vanni Lazzari, Basilica di Sant'Apollinare in Classe, 16 settembre 2020

La centralità di Ravenna in epoca tardo antica è provata dalla sua scelta come capitale dell’Impero Romano di Occidente dal 402 ad opera dell’imperatore Onorio, dal successivo insediamento in questa sede di un quartier generale del sovrano barbarico Teodorico (493-526) e dalla sua strategica riconquista bizantina, che non mancò di sostituire la propria, alla politica delle immagini adottata dai precedenti sovrani definiti illegittimi.

Gli edifici ecclesiastici di fondazione teodoriciana furono dunque epurati da quegli elementi, che alludevano alla dottrina ariana, abbracciata dal sovrano barbarico, ed, in aggiunta a questi, se ne innalzarono di nuovi, a celebrazione della fede ortodossa vittoriosa sull’eresia e del potere dell’imperatore Giustiniano e dei suoi dignitari.

La Basilica

L’attenzione edilizia si concentrò non solo sull’area urbana e sulla ben nota basilica di S. Vitale, ma anche fuori dalle mura cittadine.

Qui, nella campagna di Classe, distante circa 8 chilometri da Ravenna, venne fondata una basilica dedicata a S. Apollinare. Il cantiere edilizio durò una decina di anni (ca. 536-549) e la sua collocazione è quanto meno significativa, perché sorge in prossimità di un’antica strada romana e proprio su quell’area cimiteriale dove era stato sepolto il protovescovo e martire Apollinare.

Era, questi, un personaggio importantissimo per la storia della città di Ravenna: giunto a Roma a seguito dell’apostolo Pietro e da qui mandato ad evangelizzare Ravenna, in questa città aveva subito il martirio per la fede proprio nel sobborgo di Classe, dove era stato seppellito in una necropoli già esistente in quel luogo.

Si tratta di una basilica dalle dimensioni imponenti per l’epoca (55,58 metri di lunghezza e 47,25 di larghezza), priva di transetto, a tre navate scandite da colonne di marmi provenienti dall’Asia Minore, ricoperta a tetto ligneo e con l’abside affiancata da due cappelle laterali, secondo una tradizione tipicamente orientale bizantina.

Lo stato attuale della chiesa è frutto di vari rimaneggiamenti successivi, che hanno un poco attenuato la ricchezza di un tempo. Sappiamo dalle fonti che in origine lo spazio liturgico rifulgeva non solo per i suoi mosaici, ma anche per le incrostazioni marmoree che ne rivestivano le pareti inferiori, che sembravano sfavillare anche di notte. Questi marmi furono asportati nel 1450 per la costruzione del Tempio Malatestiano di Rimini e il resto lo hanno fatto più recenti restauri di ripristino, ma intatto è rimasto l’impianto generale e il potente messaggio trasmesso dai mosaici, soprattutto quelli dell’area absidale.

Protetti dalla Croce

Un tempo in sua corrispondenza era collocato il bema, una sorta di palco riservato al clero, che veniva così separato dal resto dei fedeli e posto in posizione privilegiata nell’area dell’altare. Tale postazione poneva il clero in collegamento diretto anche con le scene a mosaico raffigurate nella calotta absidale, risalenti al VI secolo, e raffigurate anche nell’arcata trionfale, rimaneggiate più volte fino al XII secolo. E non è un caso se, al centro della calotta absidale, con un’iconografia del tutto inusuale ma chiara nel suo messaggio, è proprio la Chiesa di Ravenna delle origini e dei suoi fondatori ad essere esaltata e messa sotto la protezione della Croce trionfante di Gesù.

Al centro in basso è il protovescovo Apollinare, rappresentato come pastore di un gregge di 12 agnelli. Sotto di lui, ritratti in finte nicchie ai lati delle finestre, si susseguono i suoi successori più importanti, scelti per la loro posizione dottrinale ortodossa. A loro fa riferimento la comunità ecclesiale che celebra in ogni tempo la liturgia nello spazio sottostante, ponendo in diretto rapporto il passato con il presente. E con loro la comunità di ogni tempo si mantiene orientata verso quello che è il vero centro di convergenza e di congiunzione tra la terra e il cielo: la Croce gemmata e trionfante ed il volto del Salvatore posto nel punto di intersezione dei suoi assi.

Verso l’alto

Tutta la composizione della decorazione absidale ed anche quella dell’arcata trionfale punta verso l’alto. E nel suo spazio scandito da fasce orizzontali, che si estendono dal basso verso l’alto, presenta il passaggio dalla terra – con le sue architetture, gli animali, le piante e l’erba verde brillante – verso un cielo, che tuttavia si manifesta come chiaramente divino. Il suo colore non è azzurro ma oro, quindi, invece di assorbire la luce, la proietta in avanti, come se fosse autoprodotta e quindi divina, proiettando verso i fedeli la Croce trionfante di Gesù.

I profeti Mosè ed Elia ai lati della Croce rivelano poi il contesto in cui si manifesta in anticipo il suo potere salvifico: la Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor. Ne sono testimoni i tre apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni – i tre agnelli posti più in basso – ed è questo il luogo e il momento in cui si rivelano con chiarezza la natura divina e umana al contempo del Figlio di Dio, la prefigurazione della sua resurrezione e quindi anche del suo ritorno sulla terra per la salvezza di tutti.

Proprio a questo si riferiscono le lettere Alfa e Omega ai lati delle braccia della croce – l’inizio e la fine –, le iscrizioni che inneggiano al suo ruolo di Salvatore e la cornice gemmata e tempestata di stelle. Al suo ritorno alla fine dei tempi alludono le nuvole striate con i colori del tramonto ai suoi lati e la mano di Dio in alto. Tematiche, queste, ulteriormente rafforzate dalle iconografie dell’arcata trionfale, tratte dall’Apocalisse.

Con la venuta trionfante del Salvatore ecco che si compie la promessa, del ritorno dei suoi fedeli in quel giardino paradisiaco al cui centro la Croce si rivela essere essa stessa l’Albero della Vita. Attraverso una Croce, che non ricorda più la passione e l’umiliazione subita da Gesù, ma che diventa il segno del trionfo della vita sulla morte, ecco che la terra e la comunità ecclesiale vengono trasfigurati e proiettati verso un cielo, che sembra al contempo esso stesso scendere verso i suoi fedeli sulla terra.

FONTE: Radici Cristiane n. 146

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