Disordine internazionale

Disordine internazionale - Schola Palatina
FONTE IMMAGINE: Wired (https://www.wired.it/)

A circa un quarto di secolo dalla caduta dei regimi comunisti in Europa Orientale e dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, le speranze allora suscitate di un mondo migliore e quindi anche più pacifico sono state largamente frustrate, tanto che qualcuno, paradossalmente, rimpiange l’«ordine» cosiddetto di Yalta rispetto al disordine internazionale attuale, dimenticando da un lato che esso grondava sangue, lacrime e miseria e che la pace fu mantenuta in Europa dall’«equilibrio del terrore», dall’altro lato che fuori del Vecchio Continente vi furono decine di guerre e guerriglie per procura tra i due blocchi.

Un’indefinibile incertezza

All’inizio degli anni ’90, alcuni prefigurarono un “nuovo ordine mondiale”; ma esso – fondato non sulla Verità bensì, addirittura, sulla sua negazione – non ha potuto realizzarsi e viviamo pertanto un’epoca d’incertezza, che appare evidente anche dalla difficoltà di definirla storicamente.

Gli esperti, infatti, non trovano di meglio che parlare di post-Guerra Fredda, così come gli anni dal 1919 al 1939 sono definiti un periodo tra le due Guerre Mondiali. Vi è da chiedersi se anche ora non possa essere una nuova guerra calda generale a chiudere questa fase storica; del resto «siamo in guerra, è una III guerra mondiale ma a pezzi», ha affermato recentemente papa Francesco.

L’invocazione della pace appare tanto giusta quanto ingenua se non si precisano il suo significato e le sue condizioni. «Nei quindici anni dopo la prima guerra mondiale − ha scritto il marxista Edward Carr − tutte le Grandi Potenze (esclusa, forse, l’Italia) ripetutamente pagarono un tributo non sincero alla dottrina di dichiarare la pace come uno degli obiettivi principali della loro politica. Ma la pace in se stessa è un obiettivo privo di significato. L’interesse comune alla pace maschera il fatto che alcune nazioni desiderino mantenere lo status quo senza dover combattere per esso, ed altre cambiare lo status quo senza dover combattere».

La «guerra santa»

Di Paolo VI si ricorda superficialmente l’invocazione «jamais plus la guerre», pronunciata alla tribuna dell’Onu nel 1965, dimenticando però che egli ribadì la validità dei tradizionali principi della «guerra giusta». Ecco alcune sue affermazioni. «In vista della pace anche le guerre si fanno». La Chiesa non può negare che «la lotta possa essere necessaria, che possa essere l’arma della giustizia, che possa assurgere a dovere magnanimo ed eroico, che possa conseguire successi». «Il disarmo o è di tutti o è un delitto di mancata difesa». «La spada, nel concerto dell’umana convivenza storica e concreta, non ha forse la sua ragion d’essere per la giustizia, per la pace? Sì; dobbiamo ammetterlo». Ed infine, chiarissimo, la pace è connessa all’«affermazione virile e magnanima delle energie dello spirito» e «vuol essere la vittoria del bene sul male».

Nell’occasione del Giubileo del 2000, Giovanni Paolo II affermò: «La pace è un fondamentale diritto di ogni uomo, che va continuamente promosso, tenendo conto che “gli uomini in quanto peccatori sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta del Cristo” (Gaudium et spes, n. 78). Talora questo compito, come l’esperienza anche recente ha dimostrato, comporta iniziative concrete per disarmare l’aggressore».

Nel 2013 Benedetto XVI illustrò il ruolo della religione per la pace e l’ordine internazionali: «Secondo una concezione ormai diffusa, l’impegno per la pace si riduce alla ricerca di compromessi che garantiscano la convivenza fra i popoli o fra i cittadini all’interno di una Nazione. Al contrario, nell’ottica cristiana esiste un’intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra, così che la pace non sorge da un mero sforzo umano, bensì partecipa dell’amore stesso di Dio. Ed è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza. Infatti, quando si cessa di riferirsi a una verità oggettiva e trascendente, come è possibile realizzare un autentico dialogo? In realtà, senza un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace. Alle manifestazioni contemporanee dell’oblio di Dio si possono associare quelle dovute all’ignoranza del suo vero volto, che è la causa di un pernicioso fanatismo di matrice religiosa».

Niente pace senza Verità

Concetti simili sono stati espressi anche dal Regnante Pontefice Francesco, nel suo primo incontro con il Corpo Diplomatico presso la Santa Sede: «Ma c’è anche un’altra povertà! È la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto il mio Predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI, chiama la “dittatura del relativismo”, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini. Ma non vi è vera pace senza verità! In quest’opera è fondamentale anche il ruolo della religione. Non si possono, infatti, costruire ponti tra gli uomini, dimenticando Dio».

Sempre Benedetto XVI, alla domanda «chi e che cosa può impedire la realizzazione della pace?», rispondeva nel 2006: «La menzogna, pronunciata all’inizio della storia dall’essere dalla lingua biforcuta, qualificato dall’evangelista Giovanni come “padre della menzogna”. Alla menzogna è legato il dramma del peccato con le sue conseguenze perverse, che hanno causato e continuano a causare effetti devastanti nella vita degli individui e delle nazioni. L’autentica ricerca della pace deve partire dalla consapevolezza che il problema della verità e della menzogna risulta essere decisivo per un futuro pacifico del nostro pianeta». In una prospettiva cristiana, quindi, solo «il riconoscimento della piena verità di Dio è condizione previa e indispensabile per il consolidamento della verità della pace».

Niente pace senza Cristo

A un secolo dalla Grande Guerra, il Magistero Pontificio si ricollega quindi alle parole di Benedetto XV, che, appena eletto, ricordò come la guerra fosse la punizione divina per gli Stati che nei loro ordinamenti si fossero allontananti dalle «norme delle pratiche della cristiana saggezza, le quali garantivano esse sole la stabilità e la quiete delle istituzioni».

Ecco quindi che in un’ottica soprannaturale appare grottesca l’invocazione alla pace di Paesi o gruppi di Stati (come l’Unione Europea), che stanno devastando ogni fondamento del diritto naturale e cristiano, oltre che spesso espressione di viltà politica.

FONTE: Radici Cristiane n. 108

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