La maieutica del debito

La maieutica del debito - Schola Palatina

La fede della Chiesa è mediatrice sacramentale di salvezza. Anche il debito individuale viene condonato con lo stesso potere divino, nel Sacramento della Confessione. Ma il debito deve essere portato alla luce, confessato. Presentato a Dio. È la verità del debitore. Colui che per definizione non basta a sé stesso. Colui che si oppone al saggio greco. Al filosofo che contempla la propria virtù, il mito di sé stesso. Scopriamo insieme di più sulla maieutica del debito.

Due volte è necessario discutere di debito: quanto alla moneta e quanto al peccato. Quanto alla moneta, bisogna andare contro il comun sentire che la moneta sia una proprietà. Quanto al peccato, bisogna andare contro il comun sentire che l’uomo sbagli solo per ignoranza. Dobbiamo andare, insomma, contro Socrate.

Non un valore, ma un debito

Sembra che la moneta sia una proprietà, in quanto misura il valore economico e conferisce a chi la detiene il potere d’acquisto indicato dal suo valore nominale (indipendentemente dal materiale di cui è fatta). Eppure è un debito, perché da tre secoli viene emessa come debito degli Stati e dei popoli (la Banca nazionale d’Inghilterra, fondata nel 1694, nasceva da una corporazione di privati, autorizzata da Guglielmo d’Orange – re per scelta del Parlamento – al monopolio di emissione. La Banca così prestava sia moneta metallica, sia moneta cartacea al Re e alla Nazione).

Sembra che l’uomo debba essere solo educato alla ragione e destinato al Paradiso. Eppure il Vangelo presenta l’uomo come un paralitico che non è neppure in grado di gridare aiuto, ma è fatto entrare nella casa dov’era Gesù, dalla parte del tetto e issato da quattro amici che credevano nel Signore (Mc 2,1-12). Quando i quattro portano il paralitico, Cristo prima “vede” la fede dei primi, poi rivendica in modo incredibile la sua divinità e la sua consustanzialità col Padre. Al paralitico si rivolge con il termine di “figlio”, come quando si era udita la voce del Padre, dopo il battesimo nel Giordano. Usa per il perdono dei peccati – che spetta per potere e autorità solo a Dio – un’espressione che indica proprio il condono assoluto, il gettare via, cancellare. I debiti sono prosciolti. Prima di questo lo invita a risorgere!

A Gesù dal cielo

Nel Vangelo di Marco, «figlio» non è solo ciò che la voce del Padre indica dopo il battesimo nel Giordano. Figlio è anche l’amico di Dio, il peccatore condotto attraverso la Chiesa (i quattro che lo sollevano) a Dio. Ognuno ha bisogno di barellieri. Il tetto è chiuso. Non si arriva a Gesù dalla via terrena. Al massimo questa conduce al profeta che tutti ascoltano. Che cosa è la terra? La via sociale, la via buonista, la via della tolleranza, la via della pace mondana, la via ecologica. Si arriva a Gesù dal cielo: il tetto scoperchiato. Il Padre rivela al cuore dell’uomo che Gesù è il Figlio di Dio. Chi non ha questa fede non solo non capisce, ma l’autorità divina di Gesù gli è di ostacolo. Colui che voleva arrivare a Gesù via terra, chiude lui stesso il cielo.

La fede della Chiesa è mediatrice sacramentale di salvezza, come la fede dei genitori e dei padrini che intercedono per il bambino che viene battezzato. Salvato dalla colpa antica. Dal debito di Adamo. Anche il debito individuale viene condonato con lo stesso potere divino, nel Sacramento della Confessione. Ma il debito deve essere portato alla luce, confessato. Presentato a Dio. La verità del paralitico è manifesta, non deve neppure essere “tirata fuori”. È la verità del debitore. Colui che per definizione non basta a sé stesso. Colui che si oppone al saggio greco. Al filosofo che contempla la propria virtù, il mito di sé stesso.

La maieutica del debito: i miti della filosofia

Anche la filosofia ha i suoi miti. Anche la ragione ha le sue ideologie. Quella socratica è la più grande di tutte. Per Nietzsche sia Socrate, sia Cristo erano maestri di nichilismo: responsabili di aver tradito lo spirito dionisiaco, orgiastico, vitalistico del mondo, a vantaggio di quello apollineo, cioè razionale. Non è solo di Nietzsche l’accostamento: anche per l’illuminismo Cristo e Socrate sono accomunati da simile morte, simile senso di giustizia e libertà. Soprattutto simile moralità.

Eppure, Nietzsche gioca a carte scoperte: rifiuta, contro l’uomo medievale e similmente contro l’uomo moderno, ogni volontà di ordine e ogni tipo di legge (che sia quella divina o quella autonoma dell’uomo, creatore di sé stesso e del suo destino); rifiuta l’idea che la storia abbia un significato e uno scopo. Rilancia sul piatto della partita l’idea cabalista della coincidenza degli opposti, al di là del bene e del male. A chiare lettere. L’illuminismo socratico è più sottile, perché riconduce il Cristianesimo alla morale della coscienza retta. Riduce la teologia cristiana – dall’Incarnazione alla Resurrezione – a pratica razionale di principi etici. E ciò che stride è proprio questo accostamento con Socrate, il cui insegnamento pedagogico è quanto di più lontano dal Cristianesimo.

Non solo ragione…

Socrate è convinto che l’uomo coincida con la sua anima e la sua anima con la ragione. Esclusivamente ragione. Se l’uomo è solo ragione, allora l’errore (il male) è possibile solo per ignoranza. Persino Platone rivedrà questo assunto, ammettendo che oltre alla ragione, l’anima sia anche istinto, irascibile e concupiscibile. Molto più Platone influenzerà l’antropologia occidentale: la psicanalisi freudiana non sarà altro che la radicalizzazione dell’istinto concupiscibile che Platone aveva descritto con il simbolo del cavallo nero. La dottrina di Hobbes, prima ancora, dell’uomo determinato unicamente dalla bramosia naturale non sarà altro che la versione politica del desiderio, inteso come dominio assoluto.

Ma Socrate no. Socrate è convinto che l’uomo sia ragione: se mostro alla ragione il bene, l’uomo non può far altro che aderirvi automaticamente. Non c’è nessun esercizio della volontà, nessuna libertà. Nessun possibile rifiuto. Non basta. Socrate è convinto che l’uomo conosca già il bene. Deve solamente avere lo stimolo opportuno per mostrarlo. Per “partorirlo”. L’esercizio della conoscenza e dunque della virtù non è altro che un esercizio maieutico. La coscienza è retta, immacolata, infallibile. Attratta meccanicamente al bene conosciuto mostrato. Unica possibilità di non compiere il bene è non conoscerlo, appunto.

Quanto è distante Adamo… Quanto è distante la sua colpa mortale di rifiutare Dio, per auto-deificarsi… Quanto è distante la sua responsabilità di averci reso capaci – solo nascendo – di partorire il debito antico. Dalla maieutica della verità autonomamente conosciuta, come se Dio non ci fosse, alla maieutica del debito. Il cui prezzo nessun uomo poteva saldare.

FONTE: Radici Cristiane n. 156

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