I martiri canadesi
Nel XVII secolo Inghilterra e Francia furono gli Stati maggiormente interessati al Nord America. Fu un colono francese, Samuel de Champlain, a fondare la città di Québec nel 1608. Per il commercio delle pellicce, Chamlain aprì le ostilità contro gli indiani irochesi, che divennero i principali nemici della Francia, mentre si alleò con le tribù degli Uroni, degli Atapaskans e degli Algonchini.
Verso la « Nuova Francia»
Un gruppo di otto missionari, sei presbiteri e due religiosi professi della Compagnia di Gesù, di origine francese, pionieri del Vangelo in quelle terre, si misero in viaggio nella cosiddetta «Nuova Francia» per portare la Buona Novella ai popoli autoctoni. Consci dei pericoli che avrebbero incontrato, si mossero con la consapevolezza del possibile martirio in odio alla fede.
Il loro apostolato si svolse fra immense foreste e laghi grandi come mari, primariamente fra i pellerossa della zona, pronti a difendersi e assai sospettosi. Ma le capacità predicative dei Gesuiti, che qui vennero in pace e per portare la pace di Cristo, furono straordinarie. I popoli presenti sul luogo erano gli Uroni e gli Irochesi. Il gruppo di missionari visse con i secondi, imparando la loro lingua.
I problemi sorsero quando, a partire dal 1640, gli Uroni vennero violentemente attaccati dalla tribù degli Irochesi, bellicosi e feroci, decisamente più mobili sui loro cavalli, ma anche più astuti. Scoppiò, quindi, una guerra fra i due schieramenti. Si trattò di un massacro, di un vero e proprio genocidio ai danni degli Uroni e con esso la ragionevole probabilità di un azzeramento dell’opera cristiana svolta dai Gesuiti.
Poiché gli Irochesi erano efferati nella loro criminalità, con i missionari agirono con grande crudeltà. I Gesuiti vennero torturati e seviziati per ore, per giorni fino all’atroce morte. Gli assassini giunsero a divorare il cuore delle vittime innocenti e compirono tale gesto per dimostrare l’ammirazione e la stima nei confronti di questi religiosi, che in qualche modo consideravano imbevuti di divinità a motivo del coraggio e della forza che avevano dimostrato nell’affrontare i soprusi e i tormenti a cui erano stati sottoposti.
I padri della Cristianità in Canada
La testimonianza dei martiri e la prova della loro virile e soprannaturale determinazione spirituale fecero in modo che l’opera missionaria da essi seminata non perisse del tutto. Infatti, la sua memoria permase nel tempo e nei decenni successivi la colonia cattolica riprese vita e vigore.
I celebri «Martiri Canadesi» furono i padri della Cristianità in Canada, ma soltanto nel XX secolo si intrapresero le iniziative per procedere ad una causa di canonizzazione. Pio XI li beatificò nel 1925 e li canonizzò il 29 giugno 1930. Dieci anni dopo, Pio XII li dichiarò patroni secondi del Canada. La riforma del calendario liturgico seguita al Concilio Vaticano II fissò al 19 ottobre la loro memoria comune per la Chiesa Universale con il nome di «Santi Giovanni de Brébeuf, Isacco Jogues e compagni martiri».
Erroneamente questi otto santi vengono talvolta considerati i protomartiri d’America, mentre furono invece i beati Cristoforo, Antonio e Giovanni, giovani indigeni dell’odierno Messico, i primi a seminare il loro sangue per Cristo nel nuovo continente già nella prima metà del XVI secolo. Il primo santo indigeno americano, invece, fu il confessore San Juan Diego, veggente di Guadalupe (1474 ca.- 1548).
Ogni martire canadese viene poi commemorato in date diverse dal Martyrologium Romanum, rispettando i diversi giorni di martirio: René Goupil, coadiutore, 29 settembre; Isaac Jogues, sacerdote, 18 ottobre; Jean de La Lande, coadiutore, 19 ottobre; Antoine Daniel, sacerdote, 4 luglio; Jean de Brébeuf, sacerdote, 16 marzo; Gabriel Lallemant, sacerdote, 17 marzo; Charles Garnier, sacerdote, 7 dicembre; Noël Chabanel, sacerdote, 8 dicembre.
Padre de Brébeuf
Jean de Brébeuf, che diventerà Padre superiore della Missione in Canada, nacque il 25 marzo 1593 nel castello feudale di Condé-sur-Vire, nella diocesi di Bayeux in Francia. Discendente di una antica famiglia, nobile e cavalleresca, aveva 20 anni quando l’8 novembre 1617 entrò nel Noviziato dei Gesuiti a Rouen e il 25 marzo 1622 venne ordinato sacerdote. Nell’aprile 1625 s’imbarcò con altri missionari Gesuiti a Duppe, destinazione Canada, in quell’epoca colonia francese, raggiungendo Québec il 19 giugno.
In questa sterminata terra si fece notare per la sua anima eroica e generosa, tanto che le Suore Orsoline di Québec lo chiamarono «personificazione della grandezza e del coraggio». Per cinque mesi accompagnò gli Indiani Algonchini attraverso le foreste nevose; fu allora che apprese la loro lingua, redigendo un dizionario, una grammatica, un catechismo – rimasti poi gli unici documenti di una lingua scomparsa insieme al suo popolo – e facendosi rispettare da loro.
Nel mese di marzo 1626, Jean de Brébeuf s’imbarcò su una canoa degli Uroni e risalì dapprima il fiume San Lorenzo e poi il fiume Ottawa, raggiungendo dopo trenta giorni il territorio degli Uroni, dove rimase tre anni in solitudine, a motivo degli stregoni che gli facevano terra bruciata intorno, e riuscendo a battezzare solo qualche bambino in fin di vita. Tuttavia, dal 1637 la sua tenacia e il suo zelo iniziarono a dare i primi frutti, tanto che nel 1649, quando il 16 marzo venne martirizzato, erano 7000 gli Uroni battezzati.
Martiri canadesi: un massacro
Gli Irochesi, armati dagli Inglesi, ruppero il trattato di pace con gli Uroni, e in una spedizione del 1649, dopo aver compiuto una strage, catturarono molti prigionieri, fra cui Padre Brébeuf. Gli strapparono le unghie, lo legarono ad un palo, con delle scuri incandescenti legate al collo, che gli bruciarono il dorso e il petto, mentre una cintura di corteccia con pece e resina incendiata, gli cingeva i fianchi.
Si scatenò un odio spaventoso per il sacerdote pieno di grazia divina: lo trafissero con aste arroventate, strappandogli brandelli di carne bruciata e divorandola davanti ai suoi occhi. Ma il martire, invece di urlare dal dolore, pregava e lodava Dio. Gli strapparono le labbra e la lingua, gli ruppero le mascelle, ficcandogli in gola tizzoni ardenti. Poi gli aprirono il petto e gli strapparono il cuore. Ne bevvero il sangue, credendo di poter assorbire il suo coraggio e farlo proprio. In realtà era il Sangue di Cristo, che ogni giorno consacrava all’altare e ogni giorno beveva nel calice, ad aver reso san Jean Brébeuf, anche in quell’ora di passione e di morte, invincibile.
Padre Brébeuf, alter Christus, e i suoi compagni di missione e di martirio costituiscono non solo un mirabile modello di virtù e di fede, ma anche un appello alla Cristianità ed alla Chiesa di oggi, in un’epoca in cui la laicità e il volontariato secolarizzato ha spintonato e cacciato, con crudeltà ideologica, la figura del missionario, portatore di civiltà e di salvezza.
FONTE: Radici Cristiane n. 141