Omissione, cos’è e quando è lecita?

Omissione, cos'è e quando è lecita? - Schola Palatina

Un’azione è volontaria, ossia libera, quando persegue un fine. Il fine può essere ricercato tramite una modalità attiva oppure passiva e quindi avremo azioni attive-positive-commissive e azioni passive-negative-omissive. In merito a quest’ultima categoria osserviamo che anche decidere di non fare è un’azione, perché si ha un’azione volontaria, come accennato, quando l’atto è orientato verso un fine e nell’azione passiva il soggetto agente si pone il fine materiale di omettere una certa condotta. L’astensione è quindi una modalità di azione. Pensiamo ad esempio all’istituto dell’obiezione di coscienza che permette ad alcuni soggetti di astenersi da atti che giudicano moralmente riprovevoli. Naturalmente l’atto materiale omissivo può essere informato da diversi fini morali: Tizio vede una persona annegare e decide di non intervenire (fine materiale) perché lo vuole morto (fine morale illecito) oppure perché non vuole attentare alla propria vita (fine morale lecito) dal momento che non sa nuotare (condizione). In altri termini, quella stessa omissione materiale (non gettarsi in acqua) può assumere significati morali diversi.

Ora però domandiamoci: quando un’omissione è lecita? Quale fine morale lecito deve informare l’atto materiale di astensione? Illustriamo alcuni casi.

  1. La scelta omissiva è lecita quando si decide di non esercitare una facoltà. Ciò significa che ci troveremmo in una situazione in cui per ottenere un certo bene (fine morale) esistono più modalità lecite che promettono pari utilità (condizione) e dunque preferire l’una per un’altra è irrilevante dal punto di vista morale. Così ad esempio al fine di trascorrere un periodo di giusto riposo (fine morale), recarsi in montagna o al mare, per ipotesi, sono due facoltà tra loro fungibili. Omettere un’opzione preferendo l’altra è scelta lecita.  
  1. In secondo luogo, l’omissione è lecita quando non si opta per una scelta lecita in astratto (lecita per il suo fine prossimo), ma che nella condizione concreta promette meno utilità di un’altra. Rifacendoci all’esempio di prima, si evita di recarsi in montagna e si opta per il mare perché l’altitudine potrebbe essere dannosa per il proprio organismo (se i danni sono rilevanti, a parità di condizioni, l’omissione sarebbe non solo lecita, ma anche doverosa). Un altro esempio potrebbe essere il seguente: un medico rifiuta di sottoporre il paziente ad una certa terapia perché gli effetti dannosi sarebbero maggiori di quelli positivi. Il fine morale che informa l’astensione sarebbe quello di tutelare la salute del paziente.
  1. Terzo caso, quando l’astensione si concreta nel non impedire la commissione di atti malvagi di terzi (caso di tolleranza di un male morale) qualora l’impedimento potrebbe ledere beni equipollenti o di maggior pregio. A volte è bene astenersi dal compiere un’azione buona per un bene maggiore. In modo più analitico, dovremmo dire che si sceglie l’astensione da un’azione che persegue un fine buono in astratto che però calato nelle circostanze può diventare malvagio perché può provocare più effetti dannosi che effetti positivi a causa della condotta di un terzo. È una tipologia di omissione che è sorella del caso precedente: lì l’omissione riguardava l’astensione da effetti negativi che si sarebbero generati direttamente dall’atto medesimo (danni alla salute causati dalla scelta di recarsi in montagna o di sottoporre il paziente ad una certa terapia), qui l’omissione riguarda l’astensione da effetti negativi che si potrebbero generare direttamente dall’azione di un terzo e indirettamente dall’azione dell’agente che ha deciso di non astenersi e che influenza/causa l’azione del terzo. Anche in questo caso proponiamo un esempio: il cittadino privato non interviene per sventare una rapina a mano armata in una banca al fine di tutelare la propria vita e quella degli altri clienti dalle banca (oppure potrebbe intervenire compiendo un atto supererogatorio, ossia compiendo un atto eccellente in quanto a virtù. Chiaramente, per essere pienamente virtuoso, l’atto deve essere anche prudente, ossia, tra le altre valutazioni, occorre prevedere se l’azione di disarmare il rapinatore andrà a buon fine, se altre persone potrebbero correre qualche pericolo rilevante, etc). 
  1. In quarto luogo, l’omissione è lecita quando l’astensione è volta a permettere a) un’azione buona di terzi o b) il verificarsi di un evento naturale giudicato positivo. Articoliamo due esempi: il padre di famiglia si astiene dall’impedire al figlio di giocare; una ragazza evita di tagliarsi i capelli perché vuole un’acconciatura con i capelli lunghi. Anche in questi due casi ovviamente occorre prevedere che sia realmente efficace l’azione di terzi o il verificarsi dell’evento naturale, ossia che gli effetti positivi superino quelli negativi o perlomeno siano di pari entità.
  1. In quinto luogo l’omissione è lecita quando il fine ricercato è l’astensione dal commettere un intrinsece malum. In questo caso l’astensione non solo è lecita, ma anche doverosa, anche nel caso in cui l’atto omissivo provocherà più danni, materiali o morali, rispetto all’ipotesi di intervento (si tratta di un caso di tolleranza degli effetti negativi sia di carattere materiale che morale). Ad esempio Tizio tiene in ostaggio tre persone innocenti e dichiara che le ucciderà se Caio non ucciderà una quarta persona innocente. L’astensione di Caio dall’assassinio della quarta persona è doverosa sebbene tale astensione provocherà la morte dei tre innocenti, morte da addebitarsi moralmente a Tizio, non a Caio. Il fine quindi è quello di evitare di compiere il male. Infatti mai è lecito commettere il male anche per un fine buono (utilità). 
  1. Infine, abbiamo il caso in cui l’atto è impossibile da esercitarsi. L’impossibilità rileva sempre sotto il profilo delle condizioni personali: una certa condotta può essere materialmente impossibile per Tizio ma non per Caio o, sul piano naturale, per tutti gli uomini (sul piano soprannaturale, con l’intervento di Dio, invece nulla è impossibile). Ci troveremmo in un’ipotesi in cui l’omissione è necessitata. Esempio: trovarsi a mille chilometri di distanza dal luogo dove un bambino sta annegando in pochi centimetri d’acqua o, anche se questi fosse vicino, non sapere che sta annegando. L’azione impossibile non può essere oggetto di obbligo, né etico né normativo e dunque non può far nascere nella persona che omette l’azione alcun dovere e di conseguenza nessuna responsabilità. «Nullus tenetur ad impossibile», ripete Tommaso d’Aquino molte volte nelle sue opere. Come accennato, in questa ipotesi l’omissione sarebbe necessitata, ineludibile e dove c’è necessità non c’è libero arbitrio e quindi nemmeno volontarietà. In tal senso l’atto impossibile esula dalla categoria della moralità perché non potrebbe in alcun modo essere oggetto di scelta.

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