Il Giubileo del 1825

Il Giubileo del 1825 - Schola Palatina

Il Giubileo del 1825 si inseriva pienamente nel progetto di ri-cristianizzazione dell’Urbe e della civiltà, promosso da Leone XII. Non a caso seguì di poco la sua prima enciclica, la Ubi Primum, con la quale il Pontefice combatté la libertà e l’arbitrio individuale di lettura della Bibbia secondo le dottrine protestanti e luterane, e soprattutto si scagliava contro l’indifferentismo. Servirebbero anche oggi tanta chiarezza e tanta decisione…

Nel secolo XIX furono indetti solo due Giubilei universali, o Anni Santi, nel 1825 e nel 1875. Papa Pio VII fu eletto nel marzo del 1800 e per la situazione creata negli anni precedenti dalla Francia napoleonica poté fare ingresso a Roma solo in luglio, quindi non indisse per quell’anno il Giubileo. Nel 1850 Pio IX poté rientrare a Roma solo il 12 aprile, dopo la caduta della Repubblica Romana, ed anche in questo caso non fu perciò indetto il Giubileo. Nel 1875, con l’enciclica Gravibus Ecclesiae et huius saeculi calamitatibus, Pio IX indisse il ventunesimo Giubileo, che però poté svolgersi solo con celebrazioni ridotte, essendo il Papa confinato in Vaticano dopo l’occupazione di Roma da parte delle truppe italiane nel 1870. Quello del 1825, indetto da Leone XII, fu quindi l’unico Giubileo del XIX secolo celebrato in libertà e con piena solennità. Ad esso è stato dedicato un volume riccamente illustrato dal titolo “«Si dirà quel che si dirà: si ha da fare il giubileo». Leone XII, la città di Roma e il giubileo del 1825”, Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, n. 148.

Giubileo del 1825: ricristianizzare!

Leone XII, al secolo Annibale della Genga, appartenente a famiglia di antica nobiltà insignita del titolo comitale, era stato eletto nel 1823; apparteneva alla corrente degli intransigenti, fortemente avversi alla idee rivoluzionarie, e contrastò duramente le società segrete.

Il Giubileo si inseriva pienamente nel suo progetto di ri-cristianizzazione dell’Urbe e della civiltà. Non a caso l’indizione del Giubileo, con la bolla Quod hoc ineunte saeculo del 24 maggio 1824, fu contemporanea alla restituzione ai Gesuiti del Collegio Romano e della chiesa di Sant’Ignazio e seguì di poco la sua prima enciclica, la Ubi Primum del 5 maggio, con la quale il Pontefice combatteva la libertà e l’arbitrio individuale di lettura della Bibbia secondo le dottrine protestanti e luterane, e soprattutto si scagliava contro l’indifferentismo, che «si è talmente diffuso e accresciuto, che i suoi seguaci riconoscono non solo tutte le sette che, fuori della Chiesa cattolica, ammettono oralmente la rivelazione come base e fondamento, ma affermano spudoratamente che sono nella retta via anche quelle società che, respingendo la divina rivelazione, professano il semplice deismo ed anche il semplice naturalismo. L’iniquità dei nostri nemici si accresce talmente che, oltre alla colluvie dei libri perniciosi e contrari alla fede, giungono al punto di volgere a danno della Religione quelle Sacre Scritture, che dall’alto ci sono state concesse per l’edificazione della Religione stessa».

Nella stessa enciclica, il Papa invitava i Vescovi a compiere il proprio dovere con assoluto scrupolo, sia risiedendo in Diocesi, sia effettuando personalmente le visite pastorali. Allo stesso tempo furono riorganizzate le parrocchie. Egli stesso indisse in giugno la Sacra Visita Apostolica della Diocesi di Roma. Durante l’anno giubilare, il 13 marzo 1825, venne poi promulgata la Bolla Quo graviora, che, richiamando le condanne della massoneria dei precedenti Pontefici, condannava tutte le società occulte, fulminando i loro adepti con la scomunica, dalla quale «nessuno potrà venire assolto se non da Noi o dal Romano Pontefice pro tempore, salvo che si trovi in punto di morte».

Quel Giubileo “s’ha da fare”

Tenendo fede al nome che si era scelto, simbolo di coraggio, Leone XII accantonò i dubbi della Curia, motivati dai timori per la sicurezza e da preoccupazioni per le spese economiche che il bilancio dello Stato Pontificio, impoverito dalla recente dominazione napoleonica, avrebbe dovuto sostenere: «Noi abbiamo pubblicato il Giubileo e il Giubileo s’aprirà. Ora la sagra tromba ha squillato: le nazioni cristiane sono convocate: noi faremo il nostro dovere, né temeremo alcun pericolo. Si dirà quel che si dirà: si ha da fare il Giubileo».

Il Papa voleva un Giubileo prettamente religioso ed ecclesiale, alieno da ogni mondanità e, soprattutto, lontano da qualsiasi speculazione, anche commerciale. Il volto più compito e serio al pellegrino, che veniva a pregare sulle tombe degli apostoli, doveva essere mostrato da «la Santa Gerusalemme, questa regale città sacerdotale che, divenuta capitale del mondo in quanto sacra sede del Beato Pietro, ha un potere più vasto come centro della Religione divina che come dominazione terrena».

Poiché molte chiese erano state danneggiate dalle profanazioni napoleoniche, il Papa ordinò: «Le Basiliche Patriarcali, e tutte le altre chiese di Roma siano ristaurate, ripulite e ridotte a quella decenza che si conviene ai sagri templj della Capitale del Mondo Cattolico, residenza del Sommo Pontefice, dovendo in essa ammirarsi in special modo la Maestà lo splendore e il decoro della Religione, soprattutto nella circostanza dell’imminente Anno Santo». Fu decisa la ricostruzione ad pristinum della Basilica di S. Paolo, in gran parte distrutta da un incendio nel luglio 1823.

L’afflusso dei pellegrini

Durante l’Anno Santo, Roma fu continuamente percorsa dalle processioni dei pellegrini e apparve trasfigurata dalle cerimonie religiose; il liberale Massimo d’Azeglio la descrisse con malagrazia ridotta «ad un grande stabilimento di esercizi spirituali». La sera del 24 dicembre 1824, Leone XII, benché febbricitante, aprì solennemente la porta santa della Basilica di S. Pietro con un artistico martello intarsiato d’oro e d’argento, compiendo scrupolosamente tutte le cerimonie rituali (quali la lustratio degli stipiti, la benedizione della soglia, ecc.) e varcandola a capo di una solenne processione. Circostanza storica veramente significativa, Leone XII fu direttamente assistito da due futuri Papi, il card. Francesco Saverio Castiglioni, Gran Penitenziere, che gli succederà come Pio VIII, e il tredicenne Gioacchino Pecci, che prenderà il nome di Leone XIII in segno di stima verso il predecessore e che, indicendo il giubileo del 1900, ricorderà la sua giovanile esperienza.

FONTE: Radici Cristiane n. 118

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