Tre monache per salvar la Chiesa

Tre monache per salvar la Chiesa - Schola Palatina

Il sacrario dei chiostri di vita contemplativa femminile è violato dalle ultime disposizioni emanate dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica.

La Costituzione apostolica Vultus Dei Quaerere e la sua Istruzione applicativa Cor Orans hanno lo scopo di ledere profondamente un principio fondativo dei monasteri di clausura: l’autonomia giuridica (sui juris) di ogni monastero. Il documento Cor Orans riguarda tutti i monasteri e la sua applicazione è immediata fin dalla sua pubblicazione (1° aprile 2018).

«monastero», non «Federazione»

Il lemma «monastero» entra nella lingua italiana nella prima metà del XIII secolo, dal latino tardo monastērĭum, questo dal greco antico μοναστήριον (monastḗrion) derivato da μοναστής (monastḗs; monaco) quindi da μονακός (monakós) ovvero solitarioeremita; a sua volta da μόνος (mónos), ossia solo, unico. Ma è evidente che le forme della «Federazione di monasteri», dell’«Associazione di monasteri» e della «Confederazione di monasteri», oggi imposte dal Vaticano, minano inevitabilmente la sacralità claustrale con una commistione impropria di presenze ed influenze esterne al singolo chiostro, nella visione di una sorta di “globalizzazione” fra realtà diverse e di dispersivi e distraenti “corsi di aggiornamento”.

Il “buonismo” è la chiave di lettura che la Santa Sede dà del de profundis indetto con la Costituzione apostolica e la sua Istruzione applicativa: non si dice che la demolizione dell’autonomia giuridica (sui juris) di ogni chiostro viene messa in azione per attuare (con la realizzazione di Federazioni, Associazioni, Conferenze, Confederazioni, Commissione Internazionale, Congregazione monastica) un livellamento di regime ad un modello unico, definito «affiliazione»; bensì si dice che ai singoli monasteri con poche monache verrà chiesta una «presa di coscienza della propria realtà, in un dialogo con la Santa Sede e con le figure di riferimento previste dalla Commissione», come ha specificato, nella conferenza stampa dello scorso maggio, mons. José Rodríguez Carballo, Segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. E il “dialogo”, grazie alle novità legislative, si tramuterà in monologo e in soppressione.

Nel corso della storia della Chiesa, quando i luoghi della contemplazione hanno subito cedimenti, i santi hanno agito con determinazione per risanare la realtà che nel mondo maggiormente rappresenta il collegamento potenzialmente più perfetto fra Cielo e terra.

Emblematici sono gli insegnamenti di tre Sante, che hanno fatto della vita contemplativa la ragione della loro esistenza e hanno riformato ciò che non funzionava: santa Ildegarda di Bingen, santa Chiara d’Assisi e santa Teresa d’Avila.

Santa Ildegarda di Bingen

Il Dottore della Chiesa Ildegarda di Bingen (1098-1179), monaca benedettina, è stata ferma nel ricondurre sulla retta via prelati, monaci e monache, che trasgredivano ai dettami della Tradizione. Portavoce di Dio, ammoniva e insegnava su mandato divino. Peregrinava da un monastero all’altro per ridare linfa a realtà affaticate, avvilite, demotivate di fronte alle prepotenze di chi, autorità civili o ecclesiastiche, le teneva in scacco con il potere e il denaro. Non si prendeva cura soltanto dei grandi peccatori della Chiesa, dava vita anche a chi, come, per esempio, la badessa Sofia del monastero benedettino di Kitzingen, si sentiva stanco e desiderava lasciare il proprio incarico.

L’eco di questa maestra, che portava lievito nuovo e sano nelle diverse realtà ecclesiastiche, si propagava in tutta Europa. Da Parigi le scrivevano per avere delucidazioni, come fece il magister Odo, che nel Sinodo di Treviri aveva sentito papa Eugenio III leggere ad alta voce le pagine dell’opera ildegardiana Scivias.

Ildegarda parlava della negligenza degli ecclesiastici e il suo dire sulla Chiesa era tutt’altro che confortante: denunciava continuamente i mali in essa presenti e le sue parole erano di tuono.

Santa Chiara d’Assisi

Santa Chiara (Assisi, 1193 ca. – Assisi, 11 agosto 1253), conquistata dalla Verità grazie a san Francesco, ha lasciato tutto per consacrarsi a Cristo, non piegandosi mai a linee guida errate e infedeli alle promesse originarie, anche a costo di patire e pazientare.

Per san Francesco, al fine di far accogliere alla Santa Sede la Regola dei Frati minori, era necessario non prendere in considerazione, temporaneamente, il ramo femminile.

Per questo santa Chiara dovette mettersi da parte, ma senza rassegnarsi. Visse il sacrificio nell’attesa. Lei e le sue consorelle non vennero più chiamate Sorelle minori, bensì Povere donne recluse di San Damiano, alle quali il card. Ugolino inviò, nel 1218, ottocento anni fa, un visitatore cistercense, per le quali redasse, un anno dopo, una Regola che le riuniva alla famiglia benedettina, imponendo loro clausura e proprietà.

Inizia un gioco sottile tra Chiara e il Cardinale, protettore delle damianite dal 1218 in poi, anche quando sarà eletto Pontefice nel 1227 con il nome di Gregorio IX.

L’intento di Ugolino è di servirsi del movimento francescano femminile per riformare l’intero mondo monacale in un periodo in cui il livello delle osservanze e della religiosità lascia parecchio a desiderare, senza contare che il IV Concilio Laterano ha da poco proibito la fondazione di nuovi Ordini.

Ma Chiara non ha nessuna intenzione di mettersi alla guida dell’Ordine che Ugolino cerca di costituire, accordando la Regola delle Povere donne di Assisi a delle nuove fondazioni dalle origini molto diverse.

Dopo il 1230 si vieta ai Frati minori di visitare i monasteri delle Povere donne, assimilando sempre di più il funzionamento di questi ultimi a quello delle numerose istituzioni monastiche preesistenti: un’affiliazione si direbbe oggi.

San Francesco, prima di morire, le raccomanda di rifiutare ogni concessione su ciò che è essenziale. Principale sopravvissuta della primitiva epopea francescana, madre Chiara diventa punto di riferimento nel momento in cui l’Ordine dei Frati minori, incoraggiato dal Papa, evolve rapidamente verso forme nuove, ponendo in contrasto coloro che vogliono mantenersi fedeli alla Regola e coloro che reclamano novità e minor rigore, come descriverà Dante nella Divina Commedia (Paradiso, canto XII, 112-120).

Verso il 1247 madre Chiara, che non transige sulle leggi auree francescane della povertà, dell’umiltà, della penitenza, decide di stilare la Regola, ispirandosi a quella del ramo maschile ed alle osservanze di san Damiano, prevedendo esplicitamente la rinuncia ad ogni proprietà. Nel 1253, due giorni prima la morte della Santa, papa Innocenzo IV l’approva.

Nel 1893 (640 anni dopo il dies natalis) si rinvenne, in una piega del suo vestito funebre, la Regola sperata, ambita, conquistata come habitus perenne del suo Ordine.

Santa Teresa d’Avila

Santa Teresa d’Avila (Ávila, 28 marzo 1515 – Alba de Tormes, 15 ottobre 1582) è protagonista straordinaria del XVI secolo per la riforma dei Carmelitani. Quando si avvide del deterioramento carmelitano, innescò una reazione di anima e di atti di enorme portata per combattere la corruzione della Regola originaria. Carmelitana del monastero dell’Incarnazione di Avila, dove era entrata nel 1536, visse una visione intensa nel settembre 1560, quando era già dotata di carismi mistici.

Il terrificante realismo della sua esperienza conferì alla sua vocazione una dimensione nuova: per alcuni istanti si vede all’inferno. La sua angoscia fu tale che assunse subito l’impegno di vivere secondo la Regola monastica nel modo più perfetto possibile, ma anche di lavorare con la preghiera e la penitenza per la salvezza dei peccatori. Il terrore per la perdita delle anime, in un’Europa dilaniata da Lutero e dagli eretici, non la lasciò più.

L’idea di ritornare alla Regola, quella data agli eremiti del Monte Carmelo da Sant’Alberto nel XIII secolo, nacque nel settembre del 1560, durante una conversazione con alcune amiche religiose e pie donne laiche. Esse avevano in mente il modello della riforma delle francescane operata da san Pietro di Alcantara (1499-1562). Il 24 agosto 1562 la piccola casa di San José era pronta, culla della riforma teresiana. Padre Rubeo, Superiore generale dell’ordine del Carmelo, autorizzò Teresa a fondare in Castiglia tanti monasteri «quanti sono i capelli del suo capo». La Madre aveva 52 anni e per 15 percorse in lungo e in largo le strade della Castiglia con qualsiasi clima. Aprì monasteri su monasteri, con pochi membri ciascuno per favorire la vita di silenzio e di intimità con Dio.

Affrontò con la preghiera e il coraggio ostilità e persecuzioni e, nel dicembre del 1575, ricevette l’ordine di sospendere qualsiasi fondazione e di ritirarsi definitivamente.

La sua opera, sia nel ramo femminile che in quello maschile, sembrò condannata a morte, ma Santa Teresa non demorse: fece appello a Filippo II e nel 1580 un breve papale di Gregorio XIII costituì gli Scalzi in Provincia separata, ponendo in tal modo fine a dieci anni di acerrime lotte fra i due spiriti del Carmelo, quello lassista e quelle fedele alla tradizione.

Teresa d’Avila rimase in piedi, vincente, sapendo che la sua battaglia era per il bene non solo del suo Ordine, ma di tutta la Chiesa.

FONTE: Radici Cristiane n. 140

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