San Camillo de Lellis: 400 anni al servizio degli infermi

San Camillo de Lellis: 400 anni al servizio degli infermi - Schola Palatina

San Camillo de Lellis, prima della conversione, sperimentò vizio, corruzione, ignavia. Eppure, dalla propria sofferenza corporale comprese d’esser chiamato da Cristo ad assistere i malati col famoso quarto voto, dando vita nell’agosto 1582 alla «Compagnia dei Ministri degli Infermi».

Il Decreto delle Costituzioni dei Camilliani inizia con questo inciso: «Dio ricco di misericordia ha suscitato nella Chiesa, tramite S. Camillo de Lellis, l’Ordine dei Ministri degli Infermi, conosciuti popolarmente come Camilliani, con la missione di testimoniare nel mondo l’amore di Cristo verso gli ammalati».

San Camillo de Lellis: «ministro del sacrificio»

Sono trascorsi 400 anni dalla morte di san Camillo de Lellis, un gigante di forza, di bontà, di coraggio, di carità e la sua Opera di dedizione ai malati prosegue senza sosta. Egli, che curò i malati con una tenerezza sovrannaturale, è diventato il loro patrono, come degli infermieri, degli ospedali e della Sanità militare italiana.

Camillo, che significa «ministro del sacrificio», nacque da una famiglia appartenente alla piccola aristocrazia della cittadina abruzzese di Bucchianico (Chieti). Venne battezzato con il nome della madre, Camilla Compelli, che lo aveva dato alla luce a quasi 60 anni di età: il primo figlio era morto appena nato. Lei perseverò nella preghiera e nell’elemosina per poterne averne un altro e fu esaudita.

La signora Camilla morì quando il ragazzino, pigro e rissoso, aveva 13 anni. Il padre, Giovanni de Lellis, era un ufficiale al servizio della Spagna e decise, per raddrizzare il ribelle Camillo, di avviarlo alla carriera militare. Crebbe, quindi, fra i soldati, imparando il loro sboccato linguaggio e i loro passatempi, fra cui le carte e i dadi; il gioco d’azzardo divenne suo vizio. Padre e figlio stavano per arruolarsi nella Lega Santa, che avrebbe poi vinto i Turchi a Lepanto, ma il genitore morì.

Camillo proseguì nella strada militare e divenne soldato di Spagna, seguendo le armate in Dalmazia e in Turchia. Tuttavia, nel 1570, sopraggiunse una dolorosa ulcera purulenta, forse da osteomielite, alla caviglia destra, che lo costrinse al congedo nel 1574. Per farsi curare si recò a Roma, nell’ospedale di San Giacomo degli Incurabili.

Dopo la guarigione venne qui assunto come inserviente, ma l’esperienza fu infelice e breve: venne allontanato a causa della sua scarsa propensione al lavoro. Tornò alle armi come soldato di ventura, mettendosi al servizio prima di Venezia, poi della Spagna, dilapidando ogni avere con una vita dissoluta. Iniziò a vagabondare per l’Italia, fino a quando fu assunto dai Cappuccini del convento di Manfredonia, in Puglia.

Qui iniziò il travagliato percorso verso la conversione, con promesse alla Madonna di mutar vita. Nel 1575 decise di diventare frate cappuccino. Ma, a causa dell’antica piaga, fu costretto a ritornare nuovamente all’ospedale degli Incurabili, dove vi rimase ben quattro lunghi anni… Fu così che i suoi occhi si aprirono: non pensò più a se stesso, ma si accorse degli altri.

Proprio qui maturò la sua vocazione all’assistenza dei malati e, insieme a cinque compagni che, seguendo il suo esempio, si erano consacrati alla cura degli infermi, decise di dare vita, nell’agosto del 1582 alla «Compagnia dei Ministri degli Infermi», i cui primi statuti vennero approvati da papa Sisto V (1521-1590) il 18 marzo 1586.

Nei malati, il volto di Cristo

Camillo ebbe come direttore spirituale nientemeno che Filippo Neri (1515 – 1595), il grande santo della Controriforma, il quale lo incamminò al sacerdozio: fu ordinato il 26 maggio 1583 in San Giovanni in Laterano.

A Roma, in quel tempo, esisteva, oltre agli “Incurabili”, anche l’«arcispedale» di Santo Spirito, dove prese servizio Camillo con i suoi compagni. Per 28 anni ebbe ogni attenzione verso i malati, nei quali vedeva misticamente Cristo stesso. Le condizioni degli ambienti, grazie alle sue richieste, furono notevolmente migliorate: le corsie presero ad essere ben arieggiate; ordine e pulizia divennero costanti; ai pazienti vennero dati pasti salutari e i malati contagiosi furono messi in quarantena.

Il 21 settembre 1591 la Compagnia di Camillo fu riconosciuta come Ordine religioso (Ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi) da papa Gregorio XIV (1535-1591), rimasto impressionato dall’eroismo con cui de Lellis e i suoi avevano assistito a Roma i malati durante la carestia del 1590.

L’8 dicembre 1591 il fondatore dell’Ordine e 25 compagni fecero la prima professione dei voti, aggiungendo ai tre abituali voti di povertà, castità e obbedienza, il quarto voto di «perpetua assistenza corporale e spirituale ai malati, ancorché appestati». Nella pratica della carità i Ministri degli Infermi, ovvero i Camilliani, stabilirono il seguente paradigma: il corpo prima dell’anima, il corpo per l’anima, l’uno e l’altra per Iddio.

Approdare in Paradiso

Camillo rimase illetterato e gli scritti che ha lasciato lo testimoniano. Per lui era una grande sacrificio scrivere, tuttavia, di notte, dedicava molto tempo a redigere documenti e lettere. L’ulcera della caviglia non l’abbandonò mai e, dopo la comparsa di due gravi patologie, renale e gastrica, morì il 14 luglio 1614 (la sua festa liturgica ricorre proprio il 14 luglio) nel convento della Maddalena, a Roma, sede del suo Ordine, e qui venne tumulato.

Il testamento spirituale, che stilò due giorni prima di morire, resta sigillo della sua radicale conversione e della sua unica scelta, approdare al Paradiso: «Io, Camillo de Lellis, indegno sacerdote della mia Religione de Ministri degl’infermi ritrovandomi constituito in estremo dei miei giorni infermo, debole e mal condotto in quanto al corpo, ma pronto per pagar il debito, che devo, non solo come Religioso e Cristiano, ma ancora come vero Catolico, voglio valermi del tempo e della commodità, che Iddio per sua misericordia mi ha dato per disponermi, ed apparechiarmi à fare la sua santa voluntà (…) lascio al Demonio tentatore iniquo tutti i peccati e tutte le offese, che hò comesso contro Dio (…) lascio al mondo tutte le vanità, tutte le cose transitorie, tutti i piaceri mondani, tutte le vane speranze, tutte le robbe, tutti li Amici, tutti li Parenti, e tutte le curiosità, ma mi contento, e voglio conformarmi con il divin volere in lasciar il Mondo, e desidero cambiare questa terrena vita con la certezza del Paradiso, queste cose transitorie con le eterne, li mondani piaceri con la gloria del Cielo, le vane speranze con la certezza dell’eterna salute, confidato però nella misericordia di Dio, tutte le robbe cambiare desidero con li eterni beni, tutti li amici con la compagnia de’ Santi, tutti li Parenti con la dolcezza delli Angeli, e finalmente tutte le curiosità mondane con la vera visione della faccia di Dio, e spero andare per sua divina misericordia, e con il S. Giobbe dirò: Credo videre bona Domini in terra viventium».

FONTE: Radici Cristiane n. 99

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