Che cosa è il diritto positivo?

Che cosa è il diritto positivo? - Schola Palatina

Quando ci riferiamo al diritto positivo indichiamo quell’insieme di leggi, norme, regolamenti, etc. prodotti dall’uomo che disciplinano le condotte dei consociati. Detto questo, domandiamoci: che cosa è il diritto positivo (o legge umana)?

La definizione che propone Tommaso d’Aquino è la seguente: “un ordine della ragione per il bene comune, promulgato da chi ha il governo della comunità” (Summa Theologiae, I-II, q. 90, a. 4 c.). L’espressione “ordine della ragione” significa un orientamento d’azione verso alcuni fini indicato dalla ragione.

Se la legge naturale è la legge eterna (la legge eterna è un finalismo impresso da Dio in ogni ente) quando riguarda l’uomo, il diritto positivo (se giusto) è la legge naturale quando riguarda il governante. La legge naturale serve per condurre l’uomo al bene. Quando questo bene è il bene comune, la legge naturale prende il nome di legge umana.

Dunque la legge umana riguarda una collettività. Ne discende che la legge umana deve essere conforme alla legge naturale (e quindi alla legge eterna) sia perché la legge umana è un ordine della ragione – e parliamo della stessa ragione che promulga la legge naturale e dunque sarebbe impossibile una contraddizione tra le due leggi – sia perché il fine della legge umana è il bene comune e questo fine non può essere in contraddizione con il bene indicato dalla legge naturale, altrimenti non potrebbe chiamarsi “bene”. Dunque è solo la legge naturale che ti indica il bene, privato o comune che sia. 

Quindi il diritto positivo è gerarchicamente subordinato alla legge naturale: il governante deve ispirarsi, per le sue scelte che hanno un carattere pubblico, alla legge naturale, ossia deve declinare i principi generali della legge naturale nel diritto positivo (così come il cittadino deve declinare i principi della legge naturale nella propria vita privata).

Questa declinazione avviene in due modi: sicut conclusiones e sicut determinationes.

Le declinazioni del diritto positivo

Partiamo dalla prima modalità la quale indica una derivazione quasi diretta dai principi di legge naturale. Ad esempio il divieto di assassinio proprio della legge naturale lo troviamo espresso in modo quasi identico nella ratio dell’art. 575 cp che vieta l’omicidio. Ciò detto, anche se non vi fosse una norma positiva che vietasse l’omicidio, ci basterebbe la legge naturale per sapere che non dobbiamo uccidere l’innocente.

Passiamo alla seconda modalità, quella denominata sicut determinationes. La maggior parte delle norme giuste degli ordinamenti giuridici discendono sì dalla legge naturale, ma indirettamente. Ad esempio pensiamo al comando di guidare a destra vigente qui da noi in Italia: questo comando deriva indirettamente e in ultima istanza dal principio di legge naturale che intende tutelare la salute e la vita in tutte le situazioni e contesti, quindi anche in strada mentre si guida un veicolo. Ma tale specificazione è uno dei moltissimi modi per attualizzare quel principio. A Londra il codice delle strada prevede esattamente l’opposto, ossia prevede l’obbligo di guidare sulla sinistra, ma quel comando non è errato, non è malvagio. È, in questo caso, meramente convenzionale, ma una volta che una certa scelta viene assunta dall’ordinamento giuridico, quella scelta diventa non solo legalmente obbligatoria, ma anche moralmente obbligatoria: da astrattamente indifferente sul piano morale (guidare a destra o a sinistra), quando si è concretizzata diviene moralmente vincolante (guidare a sinistra qui in Italia è moralmente riprovevole). E dunque il divieto di marciare a sinistra sulle strade italiane non è di per se stesso un precetto della legge naturale come il divieto di uccidere l’innocente, non è di per sé un male morale, ma può diventarlo se voluto dal governante, ossia una volta che si positivizza.
All’opposto delle norme positive che discendono dalla legge naturale sicut conclusiones, queste norme, se non ci fossero, non dovremmo rispettarle perché non sono emanazione diretta della legge naturale.

Queste disposizioni normative sono le più numerose e sono quelle su cui c’è più ampio dibattito perché coinvolgono un giudizio di prudenza (prudentia regnativa): permettere o non permettere gli sbarchi di clandestini e se sì in quale modo? Quanti anni di carcere è giusto assegnare per un omicidio? Quale procedura seguire per la compravendita di un immobile?

Che cosa è il bene comune?

Prima abbiamo visto che il diritto positivo è un ordine della ragione del governante per il bene comune. Ma che cosa è il bene comune?

Esistono molte definizioni corrette, ma qui ne vogliamo evidenziare una: il bene comune è l’insieme di quelle condizioni sociali che permettono al singolo di vivere conformemente alla legge naturale, ossia che permettono al singolo di partecipare ai beni/fini indicati dalla legge naturale e di conseguenza di vivere virtuosamente, di tendere al proprio perfezionamento. Quindi il governante non si deve occupare di tutte le condotte morali o immorali del cittadino, ma solo di quelle che interessano il bene comune in modo rilevante.

Da ciò deriva il fatto che, in primo luogo, non tutto ciò che è moralmente buono deve essere legittimato o comandato dal diritto positivo, ma solo ciò che interessa il bene comune. Quindi, ad esempio, sarebbe errato che l’ordinamento giuridico comandasse di leggere almeno un libro all’anno. Corretto invece legittimare quelle azioni buone – necessarie o grandemente utili per il bene comune – che devono essere lasciate alla libera determinazione di ciascuno: ad esempio pensiamo all’istituto del matrimonio. Corretto poi comandare quelle azioni buone e necessarie per il bene comune, ma che non devono essere lasciate alla libera determinazione di ciascuno: ad esempio poniamo mente alle imposte.

In secondo luogo dalla relazione bene comune-morale naturale deriva il fatto che non tutto ciò che non è conforme a morale deve essere vietato, ma solo ciò che lede grandemente il bene comune. Errato, quindi, sarebbe vietare per legge la menzogna detta all’amico, corretto invece vietarla quando è stata proferita davanti ad un giudice o ad un esattore delle imposte.

In sintesi le possibili azioni dell’ordinamento giuridico sono:

  • la legittimazione senza comando commissivo (matrimonio, compravendita, etc.); 
  • la legittimazione con comando commissivo (imposte, cinture di sicurezza, etc.);
  • il comando omissivo, ossia il divieto (omicidio, furto, spaccio di sostanze, etc.);
  • la tolleranza, soluzione da adottare quando un comportamento lede sì il bene comune, ma è opportuno non sanzionarlo perché la sanzione derivata dal divieto recherebbe maggior danno al bene comune della condotta stessa da punire. Pensiamo al tentato suicido: sarebbe più dannoso incarcerare il suicida mancato, che lasciarlo libero. Ciò non toglie che lo Stato deve comunque prendersi cura di questa persona, per ipotesi anche tramite comandi: obbligo di recarsi periodicamente da uno psicoterapeuta, presa in carico dei servizi sociali, etc. Ciò detto è bene ricordare che vi sono condotte, come l’assassinio, il furto, il sequestro di persona, la pedofilia, etc. che devono essere sempre vietate e mai tollerate, perché mai la sanzione provocherà più danni di quelli che vuole evitare;
  • assegnazione di poteri: è tutto l’ambito della Pubblica amministrazione. Pensiamo ai poteri giuridici assegnati a magistrati, parlamentari, ministri, etc. e, sul versante privato, pensiamo ai condoni, alle gare per gli appalti pubblici in cui il vincitore ad esempio prende in carico la gestione di un certo servizio di utilità pubblica, etc.

Per un approfondimento sul tema del diritto positivo rimandiamo a Reginaldo Pizzorni, Diritto naturale e diritto positivo in San Tommaso d’Aquino, ESD, Bologna, 1999.

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