Commemorazione dei defunti: quella “meravigliosa casa, dove non esiste la morte…”

Commemorazione dei defunti: quella "meravigliosa casa, dove non esiste la morte..." - Schola Palatina

La celebre frase di sant’Agostino ci racconta delle anime, che temporaneamente ci hanno lasciato. Il pensiero della morte deve essere una costante nella vita del cristiano, non perché debba temerla, ma perché l’esistenza venga tracciata nel santo timore di Dio, onde un giorno poterLo raggiungere in Paradiso. Ecco perché pregare per i nostri defunti, ecco perché la Chiesa è giunta alla commemorazione dei defunti: le anime purganti chiedono aiuti e suffragi, in quanto non possono più meritare per sé, ma per amore degli altri in Cielo (la Madonna e i Santi) come in terra.

Viviamo in un tempo in cui la morte viene procurata con disinvoltura già nel grembo materno, per togliersi un “impiccio”, una “seccatura”. Nell’era degli abominii e del sovvertimento della legge naturale, dove viene calpestata la legge di Dio, ecco che il paganesimo occupa sempre più uno spazio rilevante e al posto della Commemorazione dei defunti della Tradizione Cristiana, si parla e si vive Halloween (in inglese arcaico All Hallows Day, moderno All Saints), una parola attestata per la prima volta nel XVI secolo, che rappresenta una variante scozzese del nome completo All-Hallows-Eve, cioè la notte prima di Ognissanti e che rimanda a tradizioni antiche della cultura celtica e anglosassone.

Sebbene il sintagma All Hallows si ritrovi in inglese antico (ealra hālgena mæssedæg, giorno di Messa di tutti i Santi), All-Hallows-Eve è registrato a partire dal 1556. Dopo che il protestantesimo ebbe interrotto la tradizione di Ognissanti, in ambito anglosassone si continuò a celebrare Halloween come festa laica. In particolare negli USA, a partire dalla metà dell’Ottocento, tale festa si diffuse soprattutto con l’immigrazione irlandese, fino a diventare, nel Novecento, una delle principali festività statunitensi.

Commemorazione dei defunti: una festa istituita da Papa Gregorio IV

Nell’840 la festa di Ognissanti fu ufficialmente istituita il 1° Novembre sotto il Pontificato di Papa Gregorio IV.

L’idea di commemorare liturgicamente i defunti nacque su ispirazione di un rito bizantino, che celebrava tutti i morti il sabato prima della domenica di Sessagesima, così chiamata prima della riforma liturgica del post-Concilio Vaticano II, ossia la domenica che precede di due settimane l’inizio della Quaresima, all’incirca in un periodo compreso fra la fine di gennaio ed il mese di febbraio.

La commemorazione appare già nel secolo IX, in continuità con l’uso monastico del secolo VII di consacrare un giorno completo alla preghiera per i defunti. Il Vescovo Sant’Amalario (775-850/853), nel secolo IX, pose la memoria di tutti i defunti successivamente a quella dei Santi.

Nella Chiesa latina il rito viene fatto risalire al benedettino Sant’Odilone (961-1049), quinto abate di Cluny, che nel 998, secondo la Cronaca di Sigebert di Gembloux (1030 ca.-1112), stabilì che le campane dell’abbazia fossero fatte suonare con rintocchi funebri dopo i vespri del 1° novembre per celebrare i defunti ed il giorno dopo la Santa Messa sarebbe stata offerta “pro requie omnium defunctorum”; venne data così disposizione che in tutti i conventi cluniacensi il 2 novembre, dopo i vespri di Ognissanti, si celebrasse la memoria dei defunti e si pregasse per loro.

Successivamente questa pratica si estese a tutta la Chiesa Cattolica, costituendo per quella data il Giorno dei morti. Ufficialmente la festività, chiamata originariamente Anniversarium Omnium Animarum, appare per la prima volta nell’Ordo Romanus del XIV secolo.

La morte serena di chi ha timor di Dio

L’atteggiamento cattolico di fronte alla morte è molto sereno. La Tradizione della Chiesa, infatti, ricorda che il pensiero della morte deve essere una costante nella vita del cristiano, non perché debba temerla, ma perché l’esistenza venga tracciata nel santo timore di Dio, onde un giorno poterLo raggiungere in Paradiso.

Il vero Cattolico teme piuttosto il Giudizio di Dio, esplicato in base ai peccati commessi e alle virtù praticate. Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso sono i Novissimi, che un tempo venivano ricordati dai Pastori, mettendo “sull’avviso” le anime, ma che oggi, invece, non fanno praticamente più parte del vocabolario ecclesiastico.

Il peccato di Adamo spogliò lui e tutti gli uomini della grazia ovvero dell’amicizia di Dio, che comporta la partecipazione alla vita divina, con l’ornamento della santità e della giustizia. «Dio scese non più a conversare amichevolmente con Adamo, ma lo chiamò adirato, lo sottopose a una rigorosa inchiesta, pronunciò la sentenza di condanna e lo cacciò dal paradiso terrestre» (P. Dragone, Spiegazione del Catechismo di San Pio X per catechisti, p. 108).

L’uomo divenne soggetto al peccato, al demonio, alla morte, all’ignoranza, alle cattive inclinazioni e ad ogni miseria, allontanando così i doni preternaturali della scienza, dell’integrità, dell’impassibilità e dell’immortalità, coronamento del dono soprannaturale della grazia santificante.

Poco per volta gli uomini perdettero la nozione del vero Dio e caddero nell’abiezione dell’idolatria e dei vizi. Con il dono dell’integrità furono perduti anche l’ordine e l’equilibrio interiore, la subordinazione delle passioni e delle forze inferiori alla volontà e la subordinazione alla legge di Dio.

Appena commesso il peccato, l’uomo sentì subito prepotenti le passioni del timore e della concupiscenza, con la conseguente paura di Dio e la vergogna di sé. Tutti gli esseri inferiori si ribellarono al dominio dell’uomo e la terra divenne nemica e solo scarsamente compensa le molte fatiche che l’uomo deve fare coltivandola, perché essa dia frutto.

Dopo la perdita del dono dell’impassibilità, sofferenze, malattie e dolori sono diventate il retaggio e la quotidianità dell’uomo. «Con il sudore della tua fronte mangerai il pane, finché tu ritornerai alla terra, dalla quale fosti tratto; poiché polvere sei tu ed in polvere ritornerai» (Gen. 3, 19).

San Paolo afferma: «Per un solo uomo il peccato entrò nel mondo e per il peccato la morte, e così la morte trapassò a tutti gli uomini, perché tutti peccarono» (Cfr. Rm. 5, 15; 8, 10; I Cor. 15, 21-22). Il peccato originale chiuse le porte sia del Paradiso terrestre che di quello celeste; tuttavia quello celeste si riaprì quando il Verbo incarnato morì in Croce e risorse, trionfando sul demonio, sul peccato, sulla morte, dando la possibilità alle anime Sante di entrare in Paradiso.

Dopo la morte

Con la morte cessa il tempo del merito e del demerito e la possibilità della conversione. Tutta l’eternità viene pertanto giocata sulle scelte dell’esistenza terrena. La dottrina dell’indulgenza è un aspetto della Fede, che si riferisce alla possibilità di cancellare, grazie alla mediazione della Chiesa, le conseguenze di un peccato compiuto da un peccatore che abbia confessato con pentimento sincero il suo errore e sia stato perdonato tramite la confessione. Per indulgenza s’intende, quindi, la remissione parziale o totale delle pene maturate con i peccati già perdonati da Dio con il sacramento della penitenza.

L’indulgenza può essere parziale o plenaria, cioè può liberare in parte o in tutto: se la persona, per esempio, morisse nel momento in cui riceve l’indulgenza plenaria andrebbe direttamente in Paradiso. Ma tale riduzione può essere fruita anche dai defunti del Purgatorio, i quali possono essere liberati dalle loro pene parzialmente o totalmente.

Tre sono le opere di suffragio che possono dare sollievo alle anime del Purgatorio: la Santa Messa (il miglior suffragio, di grande rilevanza le Messe gregoriane), le indulgenze, la preghiera.

Già san Tommaso aveva indicato nella Messa il miglior mezzo per liberare le anime sofferenti, tre secoli prima che il Concilio di Trento si pronunciasse esplicitamente: «Le Anime del Purgatorio sono sollevate dai suffragi dei fedeli, ma soprattutto dal prezioso sacrificio dell’altare».

Alla celebrazione del Santo Sacrificio prende parte la «Comunione dei Santi»; all’offerta di Cristo sull’altare si uniscono, infatti, non solo i membri che sono ancora sulla terra, ma anche quelli che sono già nella Gloria, così come quelli che stanno espiando le proprie colpe in Purgatorio.

Da ricordare che Pio XI (1857-1939) accordò un’indulgenza plenaria applicabile alle anime del Purgatorio per la visita al cimitero il 2 novembre e ciascuno degli otto giorni seguenti, a condizione che sia fatta una preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.

San Filippo Neri (1515-1595) fu visto dopo la sua morte circondato da uno stuolo di religiosi della sua congregazione che erano stati tutti da lui salvati. San Francesco d’Assisi (1182-1226) promise ai suoi frati di andare in Purgatorio, dopo la sua morte, per liberarli, purché fossero stati fedeli osservanti della Regola e in particolare di Santa Povertà. Il beato Francesco Faa’ di Bruno (1825-1888) fondò la Congregazione delle Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio, cui lasciò in dono il carisma del suffragio per le anime Sante del Purgatorio, erigendo per esse la chiesa detta appunto del Suffragio. Maria Santissima esercita un grande potere sulle anime purganti: Ella stessa dichiarò un giorno a santa Brigida (1303-1373) di essere la Regina e la Madre di tutti coloro che si trovano nel luogo di espiazione e che le Sue preghiere ne mitigano le sofferenze.

Spiega nel Trattato del Purgatorio santa Caterina da Genova (1447-1510): «Non credo esista felicità paragonabile a quella di un’anima del Purgatorio, tranne quella dei Santi del Paradiso. E ogni giorno questa gioia aumenta per influsso di Dio nelle anime e tende ad aumentare, perché ogni giorno consuma ciò che impedisce tale influsso. La ruggine del peccato è l’impedimento; il fuoco consuma la ruggine e così l’anima si apre sempre di più all’influsso di Dio». Nulla di impuro può essere ammesso alla presenza di Nostro Signore (cfr. Ap 21,22-27; I Cor. 3,13­15) ed ecco che le anime si devono purgare, purificare.

Le lacrime per chi rimane si tramutano in speranza e sant’Agostino (354-430) le asciuga facendosi portavoce delle persone che, temporaneamente, ci hanno lasciato: «… Sono ormai assorbito dall’incanto di Dio, dalle sue espressioni di sconfinata bellezza. Le cose di un tempo sono così piccole e meschine al confronto! Mi è rimasto l’affetto per te, una tenerezza che non hai mai conosciuto! Ci siamo amati e conosciuti nel tempo: ma tutto era allora così fugace e limitato!… tu pensami così; nelle tue battaglie pensa a questa meravigliosa casa, dove non esiste la morte…».

FONTE: Radici Cristiane n. 89

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