I tre Papi

I tre Papi - Schola Palatina

Un anno drammatico, il 1978, per più ragioni. Dieci anni prima era esplosa in tutto l’Occidente la Rivoluzione culturale e sessuale, che ora già raccoglieva i suoi frutti velenosi, capaci di intossicare pure la Chiesa, già molto fragile: attenta ad aprirsi al mondo, con i suoi errori e i suoi peccati di concetto e di principio, prima ancora che di azione, si trovava in un momento assai critico per calo di vocazioni e defezioni. Lasciar perdere le ubriacature con le tesi dei teologi novatori, facendo ritorno alla Tradizione, come perno portante della Chiesa, oppure accelerare il «dialogo» con il mondo?

Paolo VI: un Pontificato faticoso

Il 9 maggio di quell’anno viene ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro, al quale Paolo VI (1897-1978) era legato da amicizia. Il 22 dello stesso mese è approvata la legge sull’aborto, la stragista 194. Questi ultimi fatti colpiscono la salute già malferma del Papa, che spira il 6 agosto, giorno della Trasfigurazione.

Il suo Pontificato, iniziato il 21 giugno 1963, era stato assai faticoso e carico di dispute interiori, ma anche interne ed esterne alla Chiesa, Chiesa che non avrebbe mai voluto guidare. Temeva, Giovanni Battista Montini, di essere il prescelto nel caricarsi della pesante Croce, a motivo della sua lunga esperienza in Vaticano: entrato nell’ottobre del 1924 nella Segreteria di Stato, era poi diventato nel 1937 Sostituto della stessa e nel 1952 venne nominato Prosegretario di Stato per gli Affari ordinari. Dopo una parentesi da Arcivescovo di Milano (1954-1963), il 21 giugno 1963 fu eletto Sommo Pontefice.

Il 16 giugno 1963 aveva scritto a padre Cesare Bevilacqua della «Casa della Pace», oratorio filippino che aveva frequentato in gioventù e il cui orientamento era vicino ad un cattolicesimo attento ai dinamismi moderni, come d’altra parte lo erano i suoi genitori, indirizzati ad un cattolicesimo liberale, come dimostrano le letture francesi della madre e l’attività politica del padre, uno dei fondatori in Brescia del Partito Popolare di don Luigi Sturzo: «Sono anch’io convinto che occorra raccogliere, difendere, sviluppare l’eredità di questo papa [Giovanni XXIII, ndr]. Ma bisogna pregare fortemente che Dio conceda alla Chiesa un successore valido e sapiente. Non certo io, come l’abitudine di individuare Papi prefabbricati può insinuare. Per fortuna c’è lo Spirito Santo a guidare queste somme cose».

Appena salito al soglio pontificio, il Papa annotò a caldo una riflessione su di un taccuino: «Forse il Signore mi ha chiamato a questo servizio, non già perché io vi abbia qualche attitudine o perché io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa e sia chiaro che Egli, non altri, la guida e la salva».

Infine, un autentico martirio

Personalità poliedrica, complessa, discussa, capace di produrre le vertigini, basta leggere il suo carteggio e i suoi scritti per rendersene conto. Si è parlato di martirio montiniano e lo fu realmente: da un lato cresciuto sotto gli influssi di una cultura politica liberaleggiante, con un’educazione più letteraria che filosofico-teologica, a causa di studi seminariali compiuti in casa per via della cagionevole salute, e dall’altro una spiccata propensione alla vita appartata e spirituale, come risulta dalle sue aspirazioni al ritiro di una vita benedettina (un legame molto forte lo univa al monastero di Engelberg in Svizzera).

Influenzato dalla Nouvelle théologie, si fa interprete di un Concilio Vaticano II che non avrebbe mai aperto, ma che dirige sotto un motto che permeerà tutto il suo faticoso Pontificato: «il dialogo», cercato, anelato, inseguito nell’illusorio e vano tentativo di avvicinare i «lontani» dalla Chiesa. Sarà la Chiesa, remissiva e cedevole, ad allontanarsi sempre più da se stessa, dalla sua vera identità.

Così, mentre papa Francesco si appresta a canonizzare Paolo VI, dall’altra parte piccona l’Humanae Vitae (che valse a papa Montini acerrime critiche da sinistra) nello spirito dell’Amoris Laetitia.

Gli entusiasmi conciliari si oscurarono ben presto, come dimostrò lo stesso Joseph Ratzinger. Con il Concilio si era avviata una vera e propria rivoluzione nella Chiesa, che anticipò di poco quella del ’68 con la sua «fantasia al potere» (Herbert Marcuse).

L’«abitudine di trattare scientificamente le questioni religiose ha fatto perdere il senso delle altezze», ebbe a dire Montini nei suoi Scritti giovanili. Ormai, molti cattolici, religiosi e laici, mettevano tutto in dubbio e in discussione, sfornando originali e personali opinioni. Parallelamente si aprì un percorso di soggettive liturgie (negli Anni Cinquanta serpeggiava, nel clero, una certa stanchezza liturgica, dettata dall’abitudinarietà), sorte dalla riforma liturgica elaborata da Annibale Bugnini e firmata da Paolo VI (1969). Quella riforma, come sostenne mons. Marcel Lefebvre, colpì al cuore il Santo Sacrificio dell’altare, trasformandolo, di fatto, nella memoria dell’Ultima Cena.

Albino Luciani, Papa in un soffio

Tragico fu il Pontificato di Giovanni Paolo I (1912-1978). Un soffio: 33 giorni appena, dal 26 agosto al 28 settembre 1978. La sua elezione suscitò speranze: in una Chiesa entrata in profonda crisi di fede, di morale, di vocazioni; in una società confusa e smarrita, dove i valori perdevano sempre più di significato; in una civiltà, che a passi da gigante si secolarizzava sempre più fino al travisamento dello stesso Vangelo, quel volto di serafino, divenne fiduciosa attesa di giorni migliori per la Chiesa e per il mondo. Non fu così. «Lo sbandamento nella fede, assai diffuso nel mondo cattolico», come lui affermava, proseguì la sua cavalcata.

Albino Luciani ebbe una formazione solidamente cattolica grazie alla sua prima catechista, sua madre, e grazie al Seminario Gregoriano di Belluno, dove il punto di riferimento era ancora san Tommaso d’Aquino. Sarebbe voluto entrare nella Compagnia di Gesù, ma si vide attribuire un ampio ventaglio di insegnamenti, fra cui Dogmatica, Diritto canonico, Arte sacra.

Nel 1947 raggiunse il traguardo della laurea con una tesi su L’origine dell’anima umana secondo Antonio Rosmini, nella quale confutava le tesi del filosofo roveretano sulla base dei principi della Scolastica.

Il Vaticano II, senza fughe in avanti

Per tutta la vita ebbe una cura particolare per la catechesi, ispirata agli elementi essenziali della dottrina cattolica post-tridentina. Rimase sempre convinto che il rinnovamento teologico promosso dal Concilio fosse più una questione di metodo che di contenuti, adoperandosi, come conservatore, per un’applicazione del Concilio senza fughe in avanti. Ribadì più volte l’inconciliabilità tra Cattolicesimo e marxismo, ma anche fra Cattolicesimo e massoneria. Proprio a Venezia ebbe modo di verificare le manovre che i poteri occulti conducevano attraverso il Banco Ambrosiano. Era angustiato dalle cospirazioni massoniche, che si manifestavano in seno alla Chiesa e si coagulavano con maggiore insistenza là dove si concentrava l’interesse economico. Fra l’altro, negli anni del Patriarcato, Luciani divenne amico di mons. Antonio Mistrorigo, per 31 anni vescovo di Treviso, nonché pastore particolarmente antimassonico.

Improvvisa giunse la morte. Con il trascorrere delle ore ipotesi e incongruenze di testimonianze si moltiplicarono. Errori, contraddizioni, omissioni, la mancata autopsia favorirono l’emergere di versioni complottiste e cospirazioniste, dove entrarono in causa massoneria, mafia, servizi segreti.

Alcuni sostennero che, al momento del decesso, avesse fra le mani un elenco di prelati iniziati massoni. Il delitto, secondo questa versione, sarebbe da attribuirsi ad ambienti legati alla Loggia P2, dei quali Luciani aveva approfondito la conoscenza, disponendo di indagini. Subito dopo la sua elezione, il periodico «O.P.» (Osservatore Politico) pubblicò un ampio servizio, riportando un elenco di 131 ecclesiastici iscritti alla massoneria, fra cui compariva il nome del Segretario di Stato vaticano, Jean-Marie Villot. Direttore di O.P.  era Mino Pecorelli, ucciso in circostanze misteriose un anno dopo l’elezione di papa Luciani.

Papa Wojtyla, un Pontificato carismatico

Il 16 ottobre 1978 viene eletto Karol Wojtyła con il nome di Giovanni Paolo II (1920-2005).  La sua esistenza si è modellata sotto una pedagogia storica e geografica, con i parametri dettati dalla reazione ai totalitarismi del XX secolo e con il retaggio della sua Polonia. Un popolo dal grande cuore, quello polacco, forte e indomito, come lo fu il primo Papa slavo della storia.

Quando salì al soglio pontificio trasferì le sue esperienze nel Pontificato. Il Papa divenne accessibile a tutti, non più condizionato dalla Curia romana: molti ne furono entusiasti, altri hanno visto in ciò un grande limite alla custodia della fede.

Egli rimase Karol Wojtyła: fu un Pontificato carismatico, itinerante, dove la sua persona ha dominato la scena mondiale, senza operare riforme importanti, ma dove i gesti hanno mutato la mentalità cattolica.

Non fu uomo di governo, ma di pastorale. Diffuse una nuova evangelizzazione, lontana dalla Tradizione, dando valore ai movimenti ecclesiali. Le priorità che diede furono: pace nel mondo, ecumenismo, fratellanza universale, mea culpa degli “errori” della Chiesa. Fu ligio applicatore del Concilio Vaticano II, un Concilio pastorale che aveva posto l’accento sulla dimensione antropologica dell’esistere.

Non si era mai visto un Papa così“moderno”: erano i «segni dei tempi», come li aveva chiamati papa Roncalli.

Fu icona nel mondo della lotta contro il comunismo, che lo pose nel mirino: oggetto dell’attentato in piazza San Pietro del 13 maggio 1981, giorno di Nostra Signora di Fatima, alla quale il Papa volse il miracolo della sua salvezza. Denunciò il comunismo, ma anche il capitalismo perché, diceva, entrambi i sistemi poggiano sulla pretesa di costruire un mondo senza Dio. Diritti umani, dignità della persona e pace fra i popoli furono i campi della sua azione. Amore per la Madonna, sostegno alla vita e alla famiglia furono gli ambiti del suo cuore.

Giovanni Paolo II manterrà la stessa pastorale, le stesse linee liturgiche e interreligiose di quando era Arcivescovo di Cracovia: nel maggio del 1969 aveva commissionato la «Coppa disambigua» per il Festival Sacrosong, la cui forma riconduceva sia alla torre più alta della chiesa di Santa Maria di Cracovia sia al minareto di una moschea. Quelle simpatie interreligiose avranno il loro apogeo il 27 ottobre 1986, quando presiederà ad Assisi la Giornata di preghiera per la pace nel mondo insieme a tutte le fedi cristiane e a 60 rappresentanti delle diverse religioni della terra.

Gli scandali catechetici e morali, che viviamo oggi sotto il governo di papa Francesco, si legano inscindibilmente alle scelte teologiche e pastorali di chi lo ha preceduto, a cominciare da Giovanni XXIII, che aprì il Concilio Vaticano per svecchiare la Chiesa.

FONTE: Radici Cristiane n. 134

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